Teme di perdere il lavoro, uccide la moglie
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Teme di perdere il lavoro, uccide la moglie

Telefona ai carabinieri di Atripalda per dire: ho sparato a mia moglie. Fabiola Speranza, 45 anni, è stata assassinata così, davanti alle sue figlie.

Teme di perdere il lavoro, uccide la moglie
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11 Gennaio 2012 - 15.46


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di Marika Borrelli

Ne hanno ammazzata un’altra, per allungare un bollettino di guerra senza soluzione di continuità. Questa volta (ma non è la prima) è successo nella mia provincia di residenza, in Irpinia, a pochi chilometri dal Capoluogo. Il secondo, dall’inizio dell’anno, sulle cronache nazionali, dopo la studentessa di Putignano.

Un uomo di 47 anni ha sparato una raffica di proiettili alla schiena di sua moglie.
Ne voglio scrivere perché, dalle prime indagini, risulterebbe che il movente sia di natura economica, nel senso che l’omicida ha agito spinto dalla disperazione di perdere il lavoro.
Insomma, due tragedie insieme: la crisi economica ed occupazionale e l’accanimento violento contro le donne.

Stava perdendo il lavoro e si è sfogato contro gli affetti. Ha risparmiato i figli, rendendoli, però, testimoni dell’efferatezza.
È come uno sport, una valvola di sfogo: nel mirino sempre le donne. Gelosie, fragilità, liti, debolezze, disoccupazione, crisi economiche, problemi psicologici hanno spesso (ed ultimamente sempre più spesso) come esito una violenza contro le donne. Vengono ammazzate, ma anche offese, vessate, umiliate a casa come negli uffici. Per strada fancazzisti in auto lanciano frasi volgari e sfotto’ alle donne, giovani e meno giovani. Per non parlare dei commentatori (per lo più anonimi) che affollano il web sotto i post e gli articoli scritti dalle donne che trattano delle questioni di genere (ma non solo). Insomma, una recrudescenza inimmaginabile per un Paese che si picca di essere civile, occidentale, moderno e all’avanguardia sociale. Macchè.

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Quello che mi disturba ancora di più nel caso dell’omicidio in Irpinia, è l’aver associato una disperazione “esterna” (presunti problemi di lavoro) ad un gesto rivolto all’interno della cerchia degli affetti primari. Sì, magari, c’erano già delle incomprensioni, ma in ogni caso non c’è nulla che il dialogo, la condivisione, la ragionevolezza non possano sistemare. Nulla giustifica la violenza e l’aggressione contro le donne. Mi ha anche amareggiato leggere che forse la parte debole della coppia era lei, che assillava il marito, come hanno scritto i giornali locali.

Questa è l’idea terribile, eppur onnipresente, per la quale sopprimere fisicamente la moglie, la fidanzata, la madre o la sorella possa risolvere un problema, possa eliminare la causa dei propri incubi o del proprio fastidio. In Italia, non c’è sostegno sociale né culturale per neutralizzare il convincimento che le donne abbiano sempre qualche colpa per cui essere punite. Qui come in Afghanistan, a prescindere dalle confessioni religiose.
Resto più che mai convinta che occorre parlarne sempre e sempre di più per aumentare innanzitutto la consapevolezza del problema e cambiare gli atteggiamenti ed i comportamenti, condannando senza riserve ogni atto offensivo, dal complimento pesante e gratuito, al trolling, alle percosse e all’intimidazione domestica, per non arrivare mai più a considerare un omicidio una giusta sentenza per i problemi personali.

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Chiudo segnalando una notizia: l’Ordine degli Avvocati della provincia di Avellino ha organizzato un corso di formazione multidisciplinare per avvocati – che trovate in allegato – per il conseguimento di uno specifico profilo professionale nelle materie attinenti a tutte le forme di violenza contro le donne.

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