Riina vuole diventare pazzo
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Riina vuole diventare pazzo

Il capo dei capi punta a questo espediente per alleggerire la sua posizione di ergastolano. Il fronte antimafia in allarme.

Riina vuole diventare pazzo
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31 Gennaio 2012 - 17.45


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di Tancredi Omodei

“Incapace di intendere e di volere”. Salvatore Riina punta a questo: che sulla sua cartella di ergastolano venga scritta questa preziosa formula, vecchio espediente a cui hanno fatto ricorso tanti boss. “Occorre massima attenzione sulla richiesta di Riina – avverte Beppe Lumia, della Commissione Antimafia – Il diritto alla salute può essere garantito nelle nostre strutture penitenziarie. A Riina si può aprire una sola porta, quella prevista dalla legge, la collaborazione”. Niente scappatoie, dunque, niente privilegi, Riina dica tutto quello che sa, collabori. Il vecchio boss ha solo questa strada, non ha scorciatoie, lo sappia.

Riina è del 1930, la foto di una vecchia carta d’identità del 1955 lo ritrae bruno, snello, con sottili baffetti neri. Una foto segnaletica degli anni sessanta lo ritrae già in carne. Foto segnaletica che non può suggerire quella statura bassa che gli appioppò il soprannome di Totò u curtu. Quanto fosse basso Salvatore Riina si sarebbe visto quel 15 gennaio del 1993, catturato a Palermo, al fianco del suo autista, Salvatore Biondino. Non lontano da via Bernini, vicino alla trafficatissima Circonvallazione, non lontano dalla villa di una parte della sua latitanza. Latitanza di misteri e di complicità, anche nella villa di via Bernini.

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La mattina di quel 15 gennaio Palermo e la Sicilia furono attraversati da un brivido, lo stesso che avrà attraversato quanti hanno vissuto la guerra e sentono l’annuncio della pace. C’era ancora da curare la profonda doppia cicatrice dei lutti di Capaci e via d’Amelio e quell’uomo basso e in carne, non più giovane, apparentemente così lontano dall’altro e più temibile soprannome,”La bestia”, incarnò la risposta della democrazia al terrorismo, quello terribile che si rafforza delle complicità della politica e della politica nelle istituzioni.

Nei due decenni seguiti a quel mattino sulla Circonvallazione si sono scritte altre pagine di successi dello Stato, passi lenti a rincorrere la verità sulle pagine oscure dei passi comuni fatti dai poteri che hanno pensato di trarre vantaggio dalle stragi.

Venti anni dopo, è davvero possibile che Riina, superata la soglia degli 80 anni, possa cambiare? La storia personale del vecchio capo di Cosa Nostra non lascia sperare.

“Totò Riina è un tragidiaturi!”, uno che costruisce tragedie, che mette zizzania, che semina odio per crescere e imporsi. La definizione è di due mafiosi di rango che hanno ben conosciuto l’uomo di Corleone. “Tragediaturi”, sempre, pure davanti ai magistrati, pure nei verbali. Ogni parola detta in questi anni, ai magistrati e da dietro le sbarre, anche le più banali, apparentemente banali, hanno avuto un messaggio, un destinatario.

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“Io sono stato dichiarato un detenuto modello dal direttore del carcere – è una delle sue dichiarazioni – Se lei mi dice che cosa vuol dire detenuto modello io glielo dico: Io sono uno che mi faccio i fatti miei, non so niente di nessuno. Lei mi vede e dice:”Ma com’è che Salvatore Riina è così sereno, così tranquillo”. Chi ben conosce le cose di mafia e il linguaggio di Cosa Nostra, ha così tradotto la frase di Riina:”Sino ad ora sono stato muto, mi faccio i fatti miei e non so niente di nessuno”. Atteggiamento e impegno che Riina onorerà fino in fondo, fino all’ultimo dei suoi giorni?

Riina una cosa l’ha fatta: quando ha aperto bocca ha elencato uno dietro l’altro, in una lista apparentemente confusa nomi e nomi, come un indice. Ha parlato di pentiti, di morti ammazzati e stragi pretendendone però distanza. “Io se faccio parte di Cosa Nostra o se sono il capo dei capi, o il sotto capo dei sotto capi – ha detto Riina – non sono tenuto a dirlo…Lei fa il magistrato, io sono salvatore Riina da Corleone”.

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Nomi, dunque, fatti e misfatti attorno ai quali, invece, si spera sempre di poter avere chiarezza da parte di chi come lui sa.
Racconti dall’interno di Cosa Nostra, racconti delle stragi, di Capaci, di via d’Amelio, delle bombe di Firenze, Roma e Milano,dei Salvo, di Lima, di chi stava sopra Lima, di chi ha coperto la sua latitanza e favorito affari e affari appaltati a picciotti e politici servili, a Palermo come a Roma. Basta intendere e volere.

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