di Francesca Luzi
Il 5 aprile, alla prima scossa delle 22:48, magnitudo 3.9 Richter, Manuela e Marco prendono Lorenzo dal letto e decidono di andare a passare la notte a casa dei genitori di Manuela al primo piano. La loro nuova casa si trova al quarto; si sentono troppo esposti e poi la pancia di Manuela è davvero tanto grande per rischiare una corsa per le scale. A casa dei nonni Lorenzo si addormenta insieme a loro nel lettone e Manuela e Marco nella loro vecchia camera da letto.
Seconda scossa alle 00:40, magnitudo 3.5 Richter. Alle 03:32 l’inferno. La luce va via, l’armadio cade sul letto colpendo Manuela lateralmente sulla pancia e sulla coscia. Marco resta sotto l’armadio e al buio disperatamente cerca di scrollarselo da dosso. Manuela nonostante la botta si libera di scatto e corre a tastoni al buio a cercare Lorenzo nell’altra stanza. Cerca di aggrapparsi agli stipiti delle porte ma non li trova, la casa è scrollata da sotto, da sopra, gira tutto, cerca di gridare il nome di Lorenzo ma si accorge che quelli che escono dalla sua bocca sono solo suoni disarticolati.
Raggiunge la camera dei suoi genitori, capisce a tastoni che suo padre sta facendo scudo su Lorenzo perché il quadro staccatosi dal muro ora copre la schiena di Cesare. Manuela li chiama, li tocca ma nessuno risponde. Teme il peggio ma fortunatamente nessuno si è fatto troppo male. L’inferno dura circa quaranta interminabili secondi. Manuela è dolorante e non riesce a sentire più i movimenti di Alice nella pancia. Corrono in ospedale, il traffico è impazzito ed arrivano dopo un tempo interminabile.
L’ospedale è in pieno delirio per i crolli al pronto soccorso e in molti altri reparti. Cercano urlando nel caos un ginecologo e dopo averlo trovato le dice di non poterla visitare ma di smuovere violentemente la pancia per capire se c’è ancora. Alice si muove. Alice è viva!
Poi il campo, le tende, il freddo. Infine la piccola stanza d’albergo sulla costa, a Montesilvano. Il 10 aprile si celebrano i funerali di Stato. Una distesa oscena, inguardabile di 309 bare affolla il piazzale della Scuola della Guardia di Finanza a Coppito. Il 10 aprile, durante i funerali, a Pescara nasce Alice, che avrà come secondo nome Gea, il titano femmina che impersona la terra, la dea romana Tellure.
Alice non aveva il suo corredino, i suoi vestitini, quelli comprati dai suoi genitori, carrozzina, pannolini, confetti per festeggiare. Li aveva, ma a casa sua a L’Aquila, al quinto piano di un palazzo gravemente danneggiato. Alice è uscita dall’ospedale ed è entrata in una piccola stanza d’albergo che per sei mesi è stata la sua casa. Senza la privacy che spetta alle partorienti appena uscite dall’ospedale, ha mangiato e dormito insieme a centinaia di altri sfollati come lei, nata sfollata in abiti non suoi, allattata nella sala ristorante dell’albergo, negata persino del silenzio che contraddistingue le case dove arriva un neonato, conficcata nel caos più totale di una banda di bambini sfollati iperattivi che nel post sisma hanno scatenato tutta la loro irrequietezza, paura e rabbia incomprensibile (per loro, piccoli!).
Alice ha messo piede in una casa per sé e la sua famiglia soltanto a gennaio 2010. Le era stata donata una piccolissima casetta di quelle trasportabili dalla società sportiva Siena calcio dalla quale dovettero scappare ai primi freddi perché si erano congelati i tubi ed era pericoloso dormirci con del riscaldamento a stufette.
Alice Gea è una bambina veramente tosta. È il simbolo dell’Aquila che resiste, che non molla nonostante tutto, è il germoglio dal quale nascerà la nuova genie di Aquilani, quella dei “senza paura” perché nati dopo la terribile notte che ha fatto da spartiacque tra la vita di prima e il dopo che stiamo vivendo oggi. Andiamo avanti.