Storia di un bomber condannato a morte
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Storia di un bomber condannato a morte

La Porcenese è una squadra di calcio con 14 stranieri. Il Messi della squadra è sfuggito al patibolo in Gambia per motivi politici. [Onofrio Dispenza]

Storia di un bomber condannato a morte
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

8 Marzo 2012 - 22.49


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di Onofrio Dispenza

Per chi ha la passione del calcio, e la domenica si guasta la festa ascoltanto gli insulti razzisti di questa o quell’altra curva di cretini patentati, la notizia che arriva da Porcen di Seren del Grappa apre il cuore.

Porcen di Seren del Grappa è una piccola comunità della provincia di Belluno, con 350 anime e una squadra di calcio, La Porcenese, che milita in un campionato minore, quelli ancora legate al fango del campo di calcio, ma lontani dal fango dei campionati milionari e taroccati.

Siamo venuti fin quassù perché la Porcenese ha una caratteristica che ci intrigava: la squadra ha 14 stranieri e tra loro un bomber, classe 1987 come Messi, condannato a morte nel suo Paese d’origine, per motivi politici. Lui si chiama Lamin Banjul, ha un gran sinistro, e dispensa sorrisi larghi e puliti a chi lo incontra. Sorrisi anche in campo per i suoi compagni e per gli avversari.

Lamin è stato condannato a morte in Gambia, e per questo è fuggito, prima in Libia e poi in Italia, quando anche la Libia era diventata pericolosa. Un viaggio lungo,insidioso, con la morte che gli ha fatto compagnia ogni giorno. Ma si doveva andare avanti – racconta – perché alle spalle c’era la morte certa. Alla fine, Porcen di Seven del Grappa, alle falde del Monte Tomatico. Strana la vita, strano il destino degli uomini, chi mai avrebbe potuto dire al giovanissimo Lamin :”Un giorno tu vivrai alle falde del monte Tomatico, tra quattro casupole”. E invece, Lamin è qui ed è diventato il Messi degli appassionati di calcio di questa contrada d’Italia.

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Negli spogliatoi della Porcenese è una festa di lingue e dialetti. Si parla in arabo, in francese, in tanti dialetti, italiani e non. In campo, difesa a tre indiano-albanese, centrocampo siculo-romeno e in avanti, lui, Lamin Banjul, il bomber della squadra.

“A gennaio – racconta il presidente della piccola società – il permesso di soggiorno da rifugiato politico scadeva, e per farglielo rinnovare, per evitare che dovesse rientrare in Gambia e andare incontro alla morte, abbiamo messo su una squadra di avvocati amici, ottenendo un rinvio, ad ottobre. Nel frattempo, è scattata la solidarietà, e Banjul sarà assunto come operaio in una impresa edile di Eduard Byku, un altro calciatore della Porcenese di origine albanese”. Squadra in campo, squadra nella vita, storie diverse ma legate dalla difficoltà del vivere, che tempra e fa salde le amicizie.

Nella formazione c’è anche Sim Ingli, di origini indiane. La sua famiglia gestisce una stalla sociale con 200 bovini. Ed ancora, Ibrahim Moussa, sudanese, 32 anni, scappato dalla guerra di Libia. Lui presto lascerà i compagni per far rientro nel Paese d’origine dove ha moglie e tre figli piccoli. E poi, tre siciliani, un valdostano, un pugliese e un calabrese.
“Abbiamo messo in campo – dice il presidente della Porcenese, Marco Zanella, 25 anni – un pezzo della società in cui viviamo, immigrati dei Sud del Mondo accanto ai nostri giovani”.

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Qui,la festa della domenica è un messaggio che vale per i cretini delle curve e per i ciechi di ogni ordine e grado che sentenziano con parole razziste.

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