Ostaggi: prigionieri nel braccio della morte
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Ostaggi: prigionieri nel braccio della morte

Il dramma in Nigeria riporta l’attenzione su gli altri casi di italiani in mano ai rapitori nel mondo. Casi su cui è calato il silenzio. Nove i nostri connazionali prigionieri.

Ostaggi: prigionieri nel braccio della morte
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9 Marzo 2012 - 09.36


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Rossella Urru. Il nome di Rossella Urru è tornato sulle pagine dei giornali negli ultimi giorni per la notizia della sua liberazione, mai confermata. La cooperante sarda, 29 anni, è stata rapita con altri due colleghi (Enric Gonyalons e Ainhoa Fernandez) la notte tra sabato 22 e domenica 23 ottobre 2011 dal campo profughi di Hassi Raduni, nel deserto algerino sud occidentale, dove i rifugiati Saharawi trovano cibo, acqua, cure, un popolo che da oltre 30 anni vive lì, protetto e in esilio, vittima di una tragedia. Rossella, originaria della Sardegna, si è laureata in Cooperazione internazionale a Ravenna, da due anni lavorava in Algeria al progetto umanitario per il Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli.

Giovanni Lo Porto. C’è poi il caso di Giovanni Lo Porto, che lavora per una Ong tedesca ed è stato il 20 gennaio 2011 in Pakistan dai talebani. È stato rapito il 20 gennaio 2011 insieme ad un collega tedesco a Multan nella parte pakistana del Punjab, facendo entrare per la prima volta il Pakistan nella lista dei Paesi pericolosi per i sequestri. Ha lavorato come «project manager» con il Gruppo Volontario Civile, con Cesvi Fondazione Onslus, Coopi-Cooperazione Internazionale. Quindi è passato a collaborare con l’Ong tedesca «Welthehungerhilfe» (Aiuto alla fame nel mondo) creata nel 1962 sotto la protezione e il sostegno della Fao. Era arrivato in Pakistan nell’ottobre scorso per partecipare alla costruzione di alloggi di emergenza nel sud del Punjab.

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Maria Sandra Mariani, 53 anni, rapita più di un anno fa, il 2 febbraio. Di lei non si parla da tempo. Si trovava insieme al suo gruppo a 250 chilometri a sud di Djanet. Si era allontanata, scortata da due responsabili del tour per comprare del cibo, quando si è trovata di fronte degli uomini armati. In questo anno di attesa per la sua famiglia a San Casciano in Val di Pesa, in provincia di Firenze, i rapitori hanno diffuso due video. Nessuno lo sa con certezza ma Maria Sandra Mariani dovrebbe essere prigioniera in un Paese del Sahel, riferiscono fonti del governo del Mali.

I 6 marinai della Ievoli. Da oltre due mesi sei marinai sono nelle mani dei pirati somali. E’ accaduto il 27 dicembre 2011. Il mercantile Enrico Ievoli era in attesa di inserirsi in un convoglio scortato da navi militari di altri Paesi. A bordo del «tanker» 18 membri dell’equipaggio, sei dei quali italiani, cinque ucraini e sette indiani. Partita dagli Emirati Arabi, era diretta verso il Mediterraneo, ma per giungervi deve incrociare un tratto di mare infestato da bucanieri somali. Non è stata chiesto l’imbarco dei Nuclei militari di protezione.

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L’antipirateria d’attualità. E i pirati, forse avvertiti, approfittano della momentanea scopertura e con il consueto «skiff», il barchino armato di Kalashnikov e Rpg, si scagliano all’arrembaggio prendendone il controllo. L’allarme viene dato alcune ore dopo. Il mercantile viene portato alla fonda davanti alla costa della Somalia. Immediato scatta l’allarme in Italia. Nelle operazioni antipirateria il nostro Paese opera nell’ambito di due iniziative multilaterali, la «Ocean Shield» della Nato di cui Roma ha diretto le operazioni sino al dicembre scorso, e la «Atalanta» sotto egida Ue.

I due “oriundi”. Va ricordato che oltre ai nove cittadini sopra menzionati l’Unità di Crisi segue indirettamente i sequestri di due persone con doppio passaporto (italiano e di altro Stato) i cui casi sono gestiti in prima battuta della autorità dall’altro Paese di origine. Si tratta di Bruno Pellizzari e Lorenzo Bonaventura sulle cui vicende il Mae italiano viene costantemente informato dagli altri governi.

Silenzio e non omertà. In ogni caso sui rapimenti la linea seguita dalla Farnesina è ispirata alla riservatezza, si privilegia il silenzio per favorire il buon esito della vicenda. «Il riserbo è d’obbligo per la soluzione positiva», ha twittato giorni fa il ministro Giulio Terzi in merito al caso Urru. Un silenzio, però, talvolta percepito come un inspiegabile oblio dalla società civile che spesso si fa promotrice di iniziative di solidarietà.

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