Stretta della Cassazione sui medici che chiudono un occhio con i lavoratori malati immaginari ma veri professionisti dell’assenteismo. Rischia un mese di sospensione dall’esercizio della professione il medico di famiglia che giustifica la mancata presenza in servizio del paziente senza neppure visitarlo: è infatti escluso che possa ammettersi l’esistenza di certificati di tipo “amnestico”, in cui il sanitario si limiterebbe ad attestare quanto sostenuto dal cliente rispetto al proprio stato di salute nei giorni precedenti la redazione del documento. È quanto emerge, riporta il sito Cassazione.net, dalla sentenza 3705/12, pubblicata il 9 marzo dalla terza sezione civile della Cassazione.
“Assente per indisposizione”, se non addirittura “per malattia”: così recitano, spesso, i laconici certificati rilasciati dal medico di famiglia, grazie alla convenzione col servizio sanitario nazionale, che sono poi inviati al datore di lavoro e all’ente previdenziale. Non bisogna dimenticare, a questo proposito, che la prestazione del sanitario nel giustificare l’assenza del lavoratore dal servizio si completa con la redazione di un modulario ad hoc, e ciò proprio per “responsabilizzare” il professionista: il medico, insomma, deve svolgere la funzione di certificatore delle patologie riscontrate per evitare comportamenti illeciti da parte dei clienti. È escluso che per evitare la sanzione disciplinare il professionista possa invocare la natura ½amnestica» di questo tipo di certificati, che sarebbero soltanto parvenze di attestazioni dal momento che proprio nulla certificano, limitandosi ad asseverare le dichiarazioni del (presunto) malato; in questo modo, infatti, il medico si presta a ingenerare il dubbio che l’assenza sia giustificata da una malattia accertata.