Dalla Chiesa, Rizzotto e la lontana verità nascosta
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Dalla Chiesa, Rizzotto e la lontana verità nascosta

Il giovane capitano scoprì subito i mandanti dell'uccisione del sindacalista. Lo Stato insabbiò tutto. Ora il "Rapporto Dalla Chiesa" ricostruisce tutto. [Onofrio Dispenza]

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Onofrio Dispenza Modifica articolo

14 Marzo 2012 - 15.22


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di Onofrio Dispenza

Al giovane Carlo Alberto Dalla Chiesa non ci volle molto per capire chi aveva ucciso Placido Rizzotto e dove era stato gettato il corpo del sindacalista socialista. Il capitano Dalla Chiesa aveva 27 anni e comandava il gruppo carabinieri di Corleone quella sera del 10 marzo del 1948 quando Luciano Liggio, in compagnia di due fedelissimi, zittì per sempre il dirigente della Cgil, colpevole d’essersi messo alla testa del movimento dei contadini.

Le indagini del giovane Dalla Chiesa arrivarono subito a Liggio, ai suoi complici e al mandante dell’omicidio; lo portarono rapidamente a individuare nella Rocca Busambra quella che per più di mezzo secolo sarebbe stata la tomba del coraggioso dirigente sindacale. Il giovane Dalla Chiesa fece anche un tentativo per recuperare i resti di Rizzotto, gli servivano dei soldi per portare a termine quell’operazione, ma il ministero glieli negò.

Una storia, una verità che emerge ora da un rapporto, il “Rapporto Dalla Chiesa” che per la prima volta esce dagli archivi della Camera del Lavoro di Corleone; rapporto donato dall’Arma dei Carabinieri. Cinquanta pagine di minuziosa ricostruzione dei fatti a firma del giovane capitano. Un ordinato dattiloscritto, frutto di una indagine appassionata e con una copertina sulla quale, con bella grafia lo stesso Dalla Chiesa nel 1949, quindi solo un anno dopo l’uccisione del sindacalista, scrisse:”Rapporti relativi alla scomparsa di Placido Rizzotto”. Copertina ingiallita, che indirettamente racconta anche decenni di altre inutili indagini, viziate anche da depistaggi.

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Il “Rapporto dalla Chiesa” viene fuori a pochi giorni dalla conferma che il Dna estratto da una tibia trovata nella foiba di Rocca Busambra, accanto ad una cintura e una monetina di 10 centesimi, é sicuramente da attribuire a Placido Rizzotto. Resti ossei trovati solo nel 2009. Per il laboratorio scientifico della polizia, come si sa, decisivo il confronto con il Dna prelevato dai resti del padre del sindacalista, Carmelo, morto anni fa.

Sfogliamolo il rapporto dalla Chiesa. Era il 18 dicembre del 1949 e Dalla Chiesa scriveva:”Il giorno 6 di questo mese gli uomini hanno identificato la “Ciacca”. Una grossa pietra venne allora calata con una fune lunga 50 metri circa e si riportò il convincimento che la fatica fosse stata coronata da successo. Due giorni dopo, con un sistema a mò di carrucola si fece scendere il dipendente carabiniere Notar Orlando che vide, prima di svenire, figure informi”.

Vennero così recuperati i resti di tre corpi in quello che apparve come il cimitero della mafia. Ed anche, uno scarpone americano, un legaccio e una scarpa d’uomo, reperti riconosciuti dai genitori di Placido Rizzotto. Con tutti quegli elementi, perché il mistero su Rizzotto é durato tanto tempo? Perché per recuperare il corpo del sindacalista ci volevano un milione e 750mila lire e il ministero di Grazie e Giustizia negò il finanziamento. E questo, nonostante il riconoscimento dei familiari di Placido fatto davanti al pretore Bernardo Di Miceli, che era primo cugino del capomafia di Corleone, Michele Navarra che dell’omicidio Rizzotto era stato il mandante. I conti tornano, e i perché hanno una risposta.

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Per quel delitto, Liggio e gli altri due “picciotti” incaricati da Navarra furono assolti per “Insufficienza di prove”. Probabilmente, a scoraggiare l’intervento finanziario del ministero ci aveva pensato quel prezioso cugino magistrato. Dalla Chiesa la sua parte l’aveva fatto, e bene. Aveva ben pesato il giovane Liggio e da uno dei complici del delitto aveva raccolto una testimonianza che portava dritto “allo spacco della montagna dove nessuno avrebbe trovato Rizzotto”.Di Liggio il giovane capitano aveva trovato anche un un covo, mimetizzatro sotto una botola coperta da mattonelle, in casa di uno dei due complici.

Gli elementi per far condannare Liggio e i due “picciotti” c’erano tutti, ma il rapporto non fu tenuto in alcuna considerazione. Gli stessi reperti recuperati da Dalla Chiesa in quell’improvvisato sopralluogo, una volta al Palazzo di Giustizia, sparirono nel labirinto del Palazzo dopo l’inizio del processo. Solo nel 2008 la polizia, raccogliendo il racconto dei vecchi del paese e facendosi guidare dalla memoria del segretario della Camera del Lavoro, Dino Paternostro, recuperarono quei resti che Dalla Chiesa non poté recuperare per una manciata di soldi negati dal ministero.

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A volte, davvero la vita degli uomini ha degli “annunci”. Sarà stato così per Dalla Chiesa, con quei soldi negati. Tanti anni dopo, in prefettura, a Palermo, Giorgio Bocca, ne avrebbe raccolto, e ci avrebbe raccontato, la solitudine come tragico testamento .

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