Quando ho iniziato questo lavoro, ho imparato tanto da un collega che avrebbe potuto benissimo incarnare un personaggio cinematografico, essere il soggetto di una serie alla Simenon. Un vecchio cronista con piccolo notes a quadretti, logoro e parecchio unto, con i fogli vergati a biro. Conosceva praticamente tutti i poliziotti e tutti i carabinieri, oltre che tutti i magistrati e i cancellieri. Conosceva anche malavitosi e gente “’ntisa”, cioè “uomini di rispetto”.
Nel pacchetto infinito delle sue conoscenze anche le puttane, ovviamente per motivi professionali. Un mondo che incrociava in questure e caserme, nei pronto soccorso, nei corridoi del Palazzo di Giustizia, dove un tempo si entrava come se si varcasse la porta a vetri della Standa. Parlava con loro, con tutti, magistrati e ladri, anche del più e del meno. Appena c’era un morto ammazzato, la sua memoria entrava in azione e sciorinava in tempo reale praticamente tutto del morto, azzardando, con alta percentuale di successo, chi l’aveva mandato al Creatore. Era un computer ante litteram, ti diceva in pochi attimi vita e motivi della morte, all’epoca per lo più legati a vicende di mafia.
Quando arrivava in redazione dopo il suo giro del mattino, l’incontro era un costante aggiornamento sui grandi giochi criminali e di potere, ma anche un’affascinante incursione nel quotidiano. Perché i suoi non erano soltanto racconti e resoconti di mafia, ma anche piccole cronache di “nera”. Ed è stato lui a insegnarmi quanto si poteva imparare della vita e del passaggio che si vive, proprio dalla cronaca nera.
Ho pensato ad Aurelio Bruno mite, timido e garbato, oggi pensionato come giornalista, ma che non ha mandato in pensione l’intelligenza e l’ironia che lo hanno sempre accompagnato, leggendo una piccola di “nera” che, a suo modo, racconta il presente.
Verona, un operaio di 45 anni, occupato nello smaltimento dei rifiuti speciali non ce la fa più a mantenere ex moglie e due figli e a provvedere alla sua nuova compagna. Non sa che fare e fa la cosa più scombinata: si guarda attorno e “punta” una persona più debole di lui, una prostituta. Improvvisarsi rapinatore non è così semplice, il mestiere richiede qualche accortezza. Lui non ne prende una sola: a bordo della propria auto avvicina una prostituta e le strappa l’incasso mandandola in ospedale.
Le auto, come si sa, hanno una targa, e una prostituta è certamente fisionomista, perché ne vede tanti di uomini (chissà se il settore conosce crisi…). Facile per la donna dare al pronto soccorso, agli inquirenti, sia la targa che l’identikit dell’uomo. Adesso l’operaio è in carcere, con un problema in più. Piccola “cronaca nera” dell’impoverimento dei nostri tempi.