Si voleva laureare in filosofia, dopo aver fatto tutti gli esami mancava solo la tesi, già scritta e con la data fissata: solo da discutere. Il magistrato di sorveglianza gli ha negato il permesso, facendo sfumare tutto. Protagonista della vicenda, riferisce il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, un detenuto 40enne del carcere di Regina Coeli. Si stava preparando a discutere la tesi di laurea in Lettere e filosofia – corso Dams – all’Università di Roma Tre, ma, a poche ore dalla convocazione davanti alla Commissione di laurea, il magistrato di sorveglianza gli ha negato il permesso, facendo sfumare tutto.
Recluso nel carcere romano da oltre cinque anni, e con un residuo di pena da scontare di un anno, il detenuto, negli ultimi tre anni aveva sostenuto, con successo, venti esami universitari ed aveva preparato con cura la propria tesi: un’analisi dei disegni e degli scritti realizzati, all’interno dei campi di sterminio nazisti, dalle vittime della Shoah.
Per discutere la tesi Simone aveva chiesto un permesso orario per recarsi in Facoltà, forte anche dei pareri positivi espressi dalla Direzione del carcere e dal Garante dei Detenuti che, dal canto proprio, si era anche offerto di accompagnarlo alla discussione, dopo averne seguito, attraverso i suoi collaboratori, il percorso didattico. «Per una settimana – ha detto il Garante – la magistratura di sorveglianza, ha tenuto tutti in attesa: la famiglia, il detenuto, il nostro ufficio, la direzione del carcere, l’Università. Poi, a poche ore dalla discussione, ha deciso di respingere la richiesta di permesso facendo sfumare tutto. Una vicenda incredibile e avvilente anche perché è stata sgradevole la tempistica del tutto, visto che il diniego è arrivato solo a poche ore dalla discussione della tesi». Alla base del diniego vi sarebbero motivi di legittimità visto che, secondo il magistrato, Simone sarebbe in attesa dell’esito dell’impugnazione del rigetto di un permesso richiesto lo scorso gennaio. Una vicenda discussa dai legali dell’uomo a maggio e da due mesi in attesa dell’esito. Ma la storia, secondo il Garante, è anche lo specchio della complicata situazione in cui versa il Tribunale di Sorveglianza di Roma, caratterizzata da ritardi e lentezze nel rispondere alle esigenze del sistema carcerario e, in alcuni casi, da una durezza nelle decisioni “verso chi deve scontare la pena e non merita un ulteriore grado di giudizio”. «Questa vicenda – ha detto Marroni – è uno schiaffo all’impegno di tante persone che sul recupero sociale dei detenuti investono molto. Per garantire il lieto fine non sono bastate le relazioni positive di chi con quest’uomo lavora quotidianamente, né i motivi di risocializzazione e di riscatto culturale. E, come degna conclusione, Simone ci ha ufficialmente detto di non volersi più laureare in carcere. Aspetterà di farlo fra un anno, quando sarà un uomo libero».