Disposti a tutto per realizzare il sogno di diventare medico. Anche a spendere 120mila euro. C’è chi infatti consiglia di imparare una nuova lingua e trasferirsi all’estero. Al centro di tutto questo ci sono delle aziende specializzate che, dopo aver fiutato l’affare, hanno messo su un giro di mediazione per instradare gli esclusi dai test di ammissione italiani verso nuove frontiere: quelle delle università estere che danno un titolo riconosciuto anche in Italia.
Una vera proposta indecente, qualcosa che viene piazzata lì, spinta sotto il naso di tanti ragazzi che, magari neanche per la prima volta, abbandonano delusi le aule universitarie, delusi dalle proprie performance o, come molti dicono, dal test, così vile e insuperabile. Ed ecco che arriva la cura a tutti i mali, la medicina per i medici: paga e tutte le porte si apriranno a te. Andrai a studiare all’estero, in prestigiosi campus immersi nel verde, con strutture e laboratori di altissimo livello e professori preparatissimi. Il tutto alla modica cifra di: informazione riservata. Tutto legale, precisiamolo. E in molti, che magari quei soldi da investire ce li hanno a portata di mano, sono attratti dall’offerta e decidono di saperne di più. E poi magari si lasciano anche convincere e partono. In ogni caso il risultato non cambia: i soldi da sborsare sono tanti, ma per chi ce li ha non è un problema. E chi non ce li ha? Semplice, o ritenta in Italia o rinuncia al sogno.
Le università oltre frontiera si riempiono di italiani, soprattutto per quanto riguarda medicina e odontoiatria. Il giro d’affari frutta centinaia di migliaia di euro ogni studente e, alla fine, fornisce un titolo di studio liberamente spendibile in Italia, in barba al numero chiuso e al rischio di surplus di professionisti. E qui si affaccia un’ulteriore alternativa: il rientro in Patria da studente di medicina. Ci si immatricola e si supera il primo anno all’estero e poi si chiede il trasferimento in una università italiana, partecipando alla riserva di posti per gli stranieri. E il test? Non occorre, se tutto fila liscio si viene iscritti direttamente al secondo anno, con il riconoscimento degli esami sostenuti all’estero. Et voilà, il gioco è fatto.