Il documento risale al 9 febbraio del 2009. E’ uno dei tanti file sottratti dagli hackerattivisti di Anonymous ai server della Polizia di Stato. Un evento del tutto nuovo in Italia, e l’afonia della Polizia (si sono limitati a dire che non è stato “bucato” il server centrale) sembra mimare a perfezione quella di chi viene colpito da un violento pugno allo stomaco.
Nei file rubati non ci sono notizie sensazionali: come ci ha già abituato Wikileaks, l’interesse delle “crepe” aperte da questo genere di incursioni sta piuttosto nel potere messo a nudo, la descrizione “di routine”, e dunque senza abbellimenti, dei meccanismi con cui i vari gangli dello Stato, anche quelli “segreti”, organizzano la nostra vita e mantengono l’”ordine pubblico”.
A questo proposito esemplificativo è il file riguardante una comunicazione del ministero dell’Interno – Ufficio per le relazioni sindacali – con il Sap, uno dei sindacati di polizia, che da parecchio tempo si lamenta del lavoro delle forze dell’ordine dentro i Centri di espulsione per immigrati (Cie).
Per chi non lo sapesse, i Cie sono delle prigioni – non ufficialmente, ovviamente – dove vengono rinchiusi i migranti che sono senza permesso di soggiorno e che devono essere espulsi. Numerose indagini di organismi internazionali e nazionali impegnati nella difesa dei diritti umani, ma anche le periodiche visite nei centri organizzati dai parlamentari e da un paio di anni molto più sistematiche grazie alla campagna LasciateCIEntrare, hanno evidenziato che queste strutture non rispondono al mandato legislativo (espellere gli irregolari), ma sono una specie di enorme “tappeto” sotto cui nascondere la “polvere” di una gestione inefficace delle migrazioni.
Il file rubato da Anonymous, dicevamo, è esemplificativo. Si chiama “Servizi accompagnamento Cie. Problematiche” e descrive un vero e proprio “protocollo” che viene applicato relativamente a specifici controlli sul territorio realizzati “a cadenza settimanale”, che hanno anche un nome in gergo: i “pattuglioni”.
La circolare, firmata dal capo dell’ufficio Pazzanese, spiega come funziona il “protocollo”. Lo fa per punti, conviene riportarli:
– Si procede all’identificazione di un gruppo significativo di persone precedentemente individuato, direttamente sul posto, prevalentemente in orari serali (ovvero: so dove si incontrano i marocchini, vado il giovedì sera, finite le altre incombenze)
– In base alle indicazioni fornite da personale specializzato dell’Ufficio immigrazione, si accompagnano in Ufficio coloro che risultano privi di documenti e vi è motivo di ritenere siano clandestini (ovvero: l’occhio “clinico” della polizia non sbaglia)
– Si procede al riscontro AFIS previo fotosegnalamento di tutti gli accompagnati
– Il personale del predetto Ufficio individua quelli che, già muniti di espulsione o da espellere, devono essere riaccompagnati presso le frontiere per l’espulsione immediata presso i Cie o, in subordine, muniti di ordine del Questore, che vengono trattenuti in Questura e vigilati nel corso della notte.
– In base a valutazioni operative si individuano gli stranieri da espellere. Tale dato è frutto di una serie di variabili (numero effettivo dei clandestini accompagnati, riscontro Afis, disponibilità effettiva dei vettori aerei, navali e/o disponibilità di posti presso i Cie, tempi di convalida delle espulsioni a cura dei Giudici di Pace) e non è preventivamente quantificabile. (Ovvero: anche se ho trovato il “clandestino” che d’altronde ero andato a cercare nel posto in cui sapevo benissimo di trovarlo, ma il Giudice di pace ha una settimana un po’ piena, lo “grazio”. Viceversa se c’è un posto in più in aereo e me ne manca uno per comporre il gruppo, ci metto di mezzo qualcuno che in un altro momento non avrei internato).
– Mediamente l’espulsione coattiva – si legge ancora nel documento della questura – interessa un numero di stranieri non superiori alle 4/5 unità che, in base ai paesi di origine, alla disponibilità di voli e/o alla disponibilità di posti presso i Cie sono espulsi alle ore 14.00 del giorno successivo a quello in cui sono identificati.
Come si vede il protocollo che decide l’internamento di persone che allora potevano essere rinchiuse in un Cie per 6 mesi, e oggi fino a 18, dipende da un’organizzazione interna della polizia che assomiglia più a quella delle municipalizzate per la raccolta differenziata che a un reale e efficace controllo del territorio. Ovviamente si sa che le cose funzinano così.
Vederle scritte, però, fa un altro effetto. Pare di osservare il grosso e appesantito corpo statale che si adagia stanco e sfatto sulle proprie miserie: poliziotti che devono fare i conti con la presenza di persone irregolari – persone che hanno perso il lavoro, persone che cercano di guadagnarsi la vita in modo più o meno lecito – con l’esistenza dei Cie e molto probabilmente con una politica che li “incita” a fare di più.
Non sarà un caso che Pazzanese, alla fine, osserva sì che “tali servizi” sono “molto impegnativi dal punto di vista “delle risorse umane” ma annota con soddisfazione che hanno permesso “di espellere coattivamente” nel 2008 “ben 203 stranieri” contro i “190 del 2007”, con “un incremento del 6,84%”. Un altro pattuglione, e siamo al 7%.