Stato-mafia, rivelazioni su Peppino Impastato
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Stato-mafia, rivelazioni su Peppino Impastato

Domani prima udienza del processo sulla trattativa Stato-Mafia istruito dalla Procura di Palermo. Affiorano anche nuove rivelazione sull'omicidio di Peppino Impastato.

Stato-mafia, rivelazioni su Peppino Impastato
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28 Ottobre 2012 - 20.21


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di Danilo Sulis

Lunedì 29 ottobre a Palermo nell’aula bunker del carcere Pagliarelli si svolgerà la prima udienza del processo sulla trattativa Stato-Mafia istruito dalla Procura di Palermo. Contemporaneamente sit-in in tutta Italia a sostegno dei magistrati di Palermo.

Radio 100 passi vi aggiornerà con una trasmissione in differita. L’udienza potrebbe non durare molto perché il gup Morosini dovrà prima decidere se accogliere le numerose richieste di costituzione di parte civile, tra queste, quella ufficiale del Governo e quella di Agende rosse di Salvatore Borsellino.

Il processo coinvolge cinque membri di cosa nostra Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà e cinque rappresentanti istituzionali all’epoca dei fatti. Se dei boss sappiamo ormai quasi tutto vediamo chi sono invece i “rappresentanti dello stato”:

Antonio Subranni ex capo del Reparto Operativo Speciale dei carabinieri. Il generale del Ros era indagato per concorso esterno a cosa nostra, ma dopo 24 mesi d’indagine è arrivata l’archiviazione per decorrenza dei termini. Il generale era accusato d’aver tradito Paolo Borsellino. La maggior accusatrice di Subranni è Agnese Piraino Leto, vedova Borsellino, che aveva raccontato ai magistrati: “il 15 luglio 1992, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto. Mi disse testualmente: ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni è “punciutu”, (per i non siciliani, “punto”, rito d’affiliazione a cosa nostra.) Tra gli atti anche una presunta intercettazione telefonica riguardante il senatore del pdl Dell’Utri.

Calogero Mannino, ex ministro democristiano, gli viene contestata l’accusa prevista dall’articolo 338 del codice penale, “violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario”. Nell’avviso di garanzia si parla di pressioni che Mannino avrebbe esercitato su appartenenti alle istituzioni, sul 41 bis, il carcere duro che i boss cercavano di far revocare.

Nel febbraio del 1994 Calogero Mannino, era stato accusato di avere intrecciato rapporti con la mafia. L´inchiesta fu avviata oltre 14 anni fa, quando i pm della procura di Palermo gli notificarono un avviso di garanzia per concorso in associazione mafiosa. L´anno successivo Mannino venne arrestato e rimase in carcere per 23 mesi.

Vicenda contorta, l’ex ministro venne assolto in primo grado, mentre in appello nel maggio del 2004 fu condannato a 5 anni e 4 mesi di carcere. La sentenza fu poi annullata dalla Cassazione nel luglio 2005 per “difetto di motivazione” e rinviata ad altra sezione della Corte di Appello. Il nuovo dibattimento nel maggio 2006 fu sospeso dopo che i legali di Mannino sollevarono la questione di legittimità costituzionale della norma sulla inappellabilità delle sentenze di proscioglimento in primo grado.

I giudici, accogliendo l´istanza del sostituto procuratore generale Vittorio Teresi, inviarono gli atti del dibattimento alla Corte Costituzionale, disponendo la sospensione del processo fino alla decisione della Consulta che diede nuovamente il via libera al processo.

Ma non c’è pace per l’ex ministro, successivamente a Marsala Il pubblico ministero Cristina Pigozzo ne chiede la condanna a 6 anni e 4 mesi di carcere per i reati di associazione per delinquere finalizzata alla frode vinicola, falso, truffa ai danni dello Stato e minacce a pubblico ufficiale al fine di costringerlo a venire meno al suo dovere. Mannino avrebbe indebitamente percepito un finanziamento pubblico concesso, nell´ambito del Patto Territoriale, per la realizzazione, a Pantelleria, di un nuovo impianto per la produzione vinicola.

Mario Mori. Il generale dell’Arma dei Carabinieri è già stato assolto, con sentenza divenuta definitiva nel 2006, dall’accusa di favoreggiamento a cosa nostra. Nel processo si cercava di scoprire le ragioni che portarono il comandante del Ros, Mori a non perquisire il covo di Salvatore Riina. Dal 2008 è invece imputato, con il colonnello Mauro Obinu, nel processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano in un casolare di Mezzojuso nel 1995. Il collaboratore di giustizia Luigi Ilardo aveva fornito l’indicazione sul luogo in cui trovare l’allora numero uno di cosa nostra al Ros dei Carabinieri.

Giuseppe De Donno ex vicecapo del Ros, l’ex capitano nel 1992 avrebbero avviato il dialogo con cosa nostra tramite Vito Ciancimino.

Marcello Dell’Utri, senatore Pdl ha una condanna definitiva a 2 anni per frode fiscale e fatture false Publitalia e 6 mesi per altre fatture. Bazzecole se si pensa ai vari processi per mafie ed ai tanti ruoli che potrebbero aver determinato la storia della seconda repubblica ma ancora motivo di altri dibattimenti. Tra questi quello che lo vedrebbe protagonista del riciclaggio per conto dei boss siciliani dei proventi di un traffico internazionale di droga utilizzati per la costruzione di Milano 2 e Milano 3, quartieri edificati alla periferia del capoluogo da Silvio Berlusconi tra gli anni ’70 ed ’80.

Per tutti loro la Procura di Palermo ha presentato una richiesta di rinvio a giudizio per il reato di violenza a Corpo politico, amministrativo o giudiziario. Secondo i pm la trattativa sarebbe stata avviata da Mannino, poi dai carabinieri infine da Dell’Utri, per arrivare al all’ora capo capo del governo Berlusconi.

Infine Per Massimo Ciancimino, figlio di Vito Ciancimino, la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia nei confronti di Giovanni De Gennaro, mentre per Nicola Mancino la Procura chiede il rinvio a giudizio per il reato di falsa testimonianza.

Gli ultimi documenti prodotti dall’accusa riguardano proprio Mannino e Subranni, considerati mediatori del presunto patto tra cosa nostra e le istituzioni. Il pentito Angelo Siino ha raccontato di rapporti stretti tra i due, confermando l’intenzione che la mafia dopo l’omicidio di Salvo Lima aveva di voler uccidere l’allora esponente democristiano. Un altro collaboratore di giustizia, Francesco Di Carlo, sostiene di aver visto Subranni soventemente negli uffici dei cugini Nino e Ignazio Salvo, gli esattori legati da un lato alla mafia e dall’altro alla Dc, Andreotti e Salvo Lima.

Di Carlo racconta anche che su richiesta dei Salvo si sarebbe occupato di far passare per suicidio l’omicidio di Peppino Impastato. Di Carlo ha aggiunto che Badalamenti spingeva Nino e Ignazio Salvo per parlare col colonnello Subranni. “Dopo poco tempo Nino Badalamenti mi ha detto”: “no, la cosa si è chiusa”.

Intanto il Gup di Palermo Piergiorgio Morosini e’ stato ricusato dall’ex ufficiale dei carabinieri Giuseppe De Donno. Morosini, secondo De Donno, avrebbe già anticipato il proprio giudizio.

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