Storia di Amir, studente Usa. Pestato in questura
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Storia di Amir, studente Usa. Pestato in questura

Confermata la condanna per quattro poliziotti di Bologna che nel 2005 maltrattarono uno studente iraniano. Che oggi è un artista affermato. [Cinzia Gubbini]

Storia di Amir, studente Usa. Pestato in questura
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30 Ottobre 2012 - 21.00


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di Cinzia Gubbini

Fu “un prelievo a campione occasionale” e perdipiù esercitato “con modalità violente”. Per questo la Cassazione ha reso definitiva la condanna a 1 anno e due mesi con la condizionale per lesioni nei confronti di Amir Mogharabi, il ragazzo iraniano che il 5 luglio del 2005 fu fermato a Bologna a piazza San Francesco e accompagnato in questura. Dove venne picchiato e deriso. Oggi la Suprema Corte ha depositato le motivazioni sulla condanna dei quattro agenti, il loro ricorso era stato respinto lo scorso 14 otobre.

Oggi Mogharabi, sette anni dopo quella brutta notte, è un’artista che si sta facendo strada, i suoi progetti partono dalla sua formazione filosofica, e in Italia era venuto proprio, grazie al progetto Erasmus, per perfezionare i suoi studi prima di laurearsi alla University of California. Ma un cittadino americano con la faccia scura può trovarsi a vivere un’esperienza traumatizzante se incontra i poliziotti sbagliati in una notte di baldoria. E così è accaduto: “Amir ha probabilmente speriemntato ciò che può accadere alla persona che viene identificata dalla polizia come un ‘tossico’ straniero, magari tunisino – racconta il suo avvocato Andrea Ronchi – probabilmente non hanno fatto qualcosa di diverso dalla solita routine, questo è il problema. Quella sera qualcuno a piazza San Francesco schiamazzava, qualche cittadino ha chiamato la polizia, sono arrivati e hanno portato via un po’ di persone. Per prima cosa Amir ha assaggiato il cofano della macchina della polizia. Poi portato in questura, ha raccontato di essere stato pestato nella camera di sicurezza. Che si trova proprio dopo l’ingresso della questura di Bologna. E pensare che nessuno degli altri poliziotti ha sentito nulla, strano no?”.

La “bagarre” tra i poliziotti e un gruppo di ragazzi che alle 3 di notte stazionavano a piazza San Francesco era dovuto al fatto che qualcuno stava suonando uno jambè. Ma questo qualcuno non era Amir, che invece viene preso e portato in questura, non senza aver prima ricevuto – ha scritto nella sua dneuncia – un pugno al fianco sinistro e aver avuto la sua testa sbattuta per due volte sul cofano. “Giunti in Questura, presso gli Uffici di via Agresti n. 3, arrivato in prossimità della porta che conduceva alle camere di sicurezza, mi veniva sferrato un colpo al volto.

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Introdotto nell’adiacente corridoio, che in seguito ho realizzato condurre alle camere di sicurezza, i due poliziotti che erano con me sulla volante iniziavano a picchiarmi con pugni e calci – denuncia ancora Amir –
Ricordo con precisione che entrambi i poliziotti portavano guanti di pelle nera. In un breve momento di interruzione del pestaggio in atto, mi veniva richiesto dove fossi nato. Tra le mie implorazioni di interrompere le suddette violenze rispondevo di essere nato in Iran. Pronta la risposta da parte di uno dei poliziotti: “Faresti le stesse stronzate in Iran?”. Ovvio, il “classico” discorso razzista da bar “a casa loro mica fanno così”. Peccato che in questo caso erano in 4 contro un ragazzo, e nel segreto della questura bolognese.
Ma la storia non è ancora finita per Amir, che non ha ancora avuto modo di informare i quattro poliziotti che lui in realtà è un cittadino americano. Evidentemente non pensa che questo potrebbe cambiare l’atteggiamento dei poliziotti, come invece accadrà. “Una volta saputo che ero nato in Iran, si aggiungevano al pestaggio anche gli altri due poliziotti presenti sulla seconda volante. Più volte cadevo a terra e, tra le mie suppliche di fermarsi, perdevo conoscenza. Mi sono risvegliato con un poliziotto che, da tergo, mi teneva le braccia dietro la schiena e gli altri tre che mi davano a turno diversi colpi sul ventre. Nel mentre il poliziotto più muscoloso tra i quattro (precedentemente identificato con il n. 2) si rivolgeva a me in questi termini: “Stronzo!”; “Tu sei un cretino, sai che cosa vuol dire cretino?”; “Domani sera se c’è un’altra festa in piazza. Ci rivediamo?”; “Sei un pezzo di merda”; “Voi iraniani siete tutti stronzi””.

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Ma ecco come continua il comportamento dei tutori dell’ordine, chiamati a vegliare sul sonno dei cittadini bolognesi, che giustamente erano infastiditi da chi aveva avuto la bella idea di suonare lo jambè sotto le loro finestre alle tre di notte. Peccato che l’atteggiamento dei poliziotti non sembra molto diverso dal comportamento di un qualsiasi bullo adolescente: !
Mi facevano quindi entrare nella prima cella – scrive ancora Amir nella sua denuncia –
Mentre richiudeva la porta un poliziotto mi diceva: “non ti abbiamo ancora fatto niente… adesso arriva il bello”.
Sempre lo stesso poliziotto identificato nella precedente lista al n. 2 mi ordinava di spogliarmi.
Ad una mia flebile resistenza mi veniva sferrati altri due pugni al volto.
Una volta spogliato di tutti gli abiti mi venivano assegnati altri pugni al fianco.
Nel mentre, i poliziotti continuavano a proferire frasi dal tenore simile a quelle sopra riportate.
Nelle tasche mi viene ritrovato un cellulare: il poliziotto che identifico come il più muscoloso lo sbatteva violentemente contro il muro.
Ed ancora: immobilizzato in posizione supina da un poliziotto, venivo avvicinato da un suo collega già presente in piazza San Francesco, che dopo avermi rivolto la retorica domanda “Sai cosa penso di te?” mi volgeva le producendo una rumorosa flatulenza”. La denuncia purtroppo non lo specifica, ma chissà se gli altri colleghi avranno riso a questa prodezza.

Senonché il divertimento dei quattro poliziotti stava per finire. A questo punto, infatti, tornano per un attimo alla loro funzione e chiedono i documenti al ragazzo. Sorpresa: l’iraniano “stronzo” come tutti gli altri del suo paese, in realtà è cittadino americano e vive a Los Angeles. “Dal quel momento le violenze si interrompevano, non mi veniva più rivolta alcuna ingiuria e mi veniva concesso di rivestirmi. “.

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Insomma, il tono cambia immediatamente, Amir viene portato al fotosegnalamento. Lui denuncia a tutti i poliziotti che incontra ciò che gli accade. Uno gli dice: “Mi dispiace per quello che ti è successo, quelli non sono amici miei, ma solo colleghi”.

La storia, però, non è finita. Amir viene minacciato, anche se non direttamente: “Rientrato nella camera di sicurezza venivo avvicinato da un poliziotto che mi rappresentava la seguente circostanza: essendo uno studente Erasmus, a seguito dei fatti occorsi in quella notte, nell’ipotesi che la mia Università fosse venuta a conoscenza del mio trattenimento in Questura, mi sarebbero stati tolti tutti gli esami sostenuti in Italia”. Ovviamente, è una bugia.
Amir riesce a tornare a casa il giorno dopo alle 12,30. Il giorno successivo “riavutomi dalla schock”, scrive ancora Amir, si reca in ospedale dove viene refertato con 10 giorni di prognosi.

Da lì comincia tutta la storia del processo che si è conclusa a metà ottobre con al condanna deifnitiva dei quattro agenti. La “mediazione culturale” tra l’avvocato Ronchi e Amir non è stata facilissima “E’ stato molto difficile spiegargli alcune cose del nostro ordinamento”. Per esempio perché i poliziotti condannati in primo grado per quello che gli avevano fatto rimanevano in servizio. Per esempio il fatto che la polizia non esiste una figura nella polizia che si occupi delle indagini interne e delle relazioni con il “pubblico”, ma che il tutto sia dovuto passare attraverso un processo per sette anni. “In molti paesi esiste una specie di Obundsman, un garante, che si occupa proprio di moniotrare il comportamento della polizia, per figure di questo tipo vengono impiegati soldi destinati alla sicurezza”, dice Ronchi. Lo schock di Amir, insomma, non è durato soltanto una notte.

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