Becero è un termine lesivo della reputazione altrui ma nella dialettica politica è ammesso poiché serve a criticare “la perpetuazione
di sistemi gestionali volti alla copertura di grumi di interessi
di parte”. Lo ha stabilito oggi una sentenza della Corte di Cassazione (sentenza 45014).
La Suprema Corte si è dovuta occupare della condanna di un uomo di Crotone, Marcello P. denunciato da un suo compagno di partito (quale, non è specificato nel verdetto), Roberto M. proprio perché il primo aveva utilizzato il termine “becero” descrivendo il comportamento di Roberto M. ”in
riferimento al conferimento di incarichi regionali” durante un congresso.
Ad avviso
della Cassazione questo è ”un tema capace per sua natura di
sollevare, tanto più in un piccolo consesso, come quello del
Comune di Crotone, confronti dialettici anche vivaci tra i
rappresentanti delle contrapposte parti, pronte a rinfacciarsi,
anche per il passato, gestioni della cosa pubblica tutt’altro
che ispirate alla cura dell’interesse generale, quanto piuttosto
orientate al perseguimento di interessi particolari, di natura
clientelare e di scarsa trasparenza, se non proprio di patente
illegittimità, su argomenti da sempre, ed ovunque, occasione di
vivace scontro politico, come quello relativo alla ripartizione
di incarichi presso una Regione”