Se la Chiesa dice no al matrimonio
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Se la Chiesa dice no al matrimonio

C'era un tempo in cui la Chiesa diceva no al divorzio. Ora dice no al matrimonio, omosessuale. Spunti per una riflessione che consideri anche la categoria "amore".

Se la Chiesa dice no al matrimonio
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17 Gennaio 2013 - 21.50


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di Riccardo Cristiano

I vescovi francesi, che sono un po’ più “aperti” dei loro colleghi transalpini, non hanno promosso né partecipato alla grande manifestazione parigina contro il matrimonio per tutti, cioè contro le nozze tra omosessuali. In piazza ce ne erano solo una decina. E non sul palco. Ma certo convenivano con i manifestanti. Equilibrio francese. La loro idea è che la questione dei matrimoni omosessuali sia una questione sociologica, non religiosa. Questo è un avvio migliore di altri. Ma l’amore?

Il ragionamento ecclesiastico è più o meno questo: la famiglia è la cellula costitutiva dell’ordine sociale, e l’ordine sociale si basa sulla solidarietà generazionale, sul rispetto delle diversità tra vecchi e giovani, uomini e donne, e così via. Il timore che ne consegue è quello di una “libertà irresponsabile”. Io rispondo solo a me stesso, non sono solidale con nessuno, penso e mi organizzo come ritengo preferibile.

Il ragionamento dei vertici ecclesiastici ha dei fondamenti; al centro del nostro rapporto di uomini moderni e occidentali con la libertà il valore della solidarietà cala, il resto cresce. Basta guardarsi intorno per rendersene conto. Ma…

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Ma la smania normativa dei vescovi trasuda diffidenza, timore, sfiducia nei confronti del mondo contemporaneo. E così in questa smania normativa non figura mai una parola molto semplice, ma che per i cristiani dovrebbe essere di un certo rilievo: questa parola è “amore”.

Troppo condizionati da una cultura che li porta a cercare in ogni famiglia una riproduzione umana della Sacra Famiglia, i vescovi non hanno visto per secoli quanto soffrisse la donna in una famiglia nella quale era l'”angelo del focolare”, tarpata o impedita addirittura nelle sue legittime aspirazioni sociali. E quella famiglia molto spesso per Lei era un inferno, altro che Sacra Famiglia, nella quale era costretta, senza che l’amore fosse mai preso in considerazione. E’ stato il divorzio che le ha consentito di scoprire il diritto a un sentimento vero, a un amore vero.

Che questo abbia creato anche egoismi, solitudini, opportunismi, è innegabile. Negarlo è modernismo, prendere atto che offrire un diritto è indispensabile ma non basta, occorre anche altro, è modernità .

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Ora arriva la questione dei matrimoni omosessuali. La preoccupazione dei vescovi è chiara: salta un ordine culturale, si diventa indifferenti alla responsabilità, si cancellano le differenze. Ma il diritto all’amore? Dio non c’è nell’amore di un uomo per un altro uomo, o in quello di una donna per un’altra donna? Quell’amore non è amore? Lo era invece quello dei matrimoni combinati, imposti alla donna dalla famiglia?

Non dubito che una riflessione più attenta e responsabile sulla libertà responsabile, e non irresponsabile, sia necessaria. Lo dimostra l’aborto, argomento trattato troppo spesso con fastidio, ma che ci costringe a fare i conti con il diritto del nascituro, il più debole, ma anche della stuprata, della violentata, dell’abbandonata, della disgraziata, debole anche lei. Se riconoscendo l’aborto terapeutico si può procedere sulla via della consapevolezza perché si dimostra fiducia nell’uomo, riconoscendo il diritto all’amore dei gay si potrà far riscoprire l’importanza della solidarietà e del rispetto delle “diversità naturali, vera base dell’uguaglianza degli uomini”. Siamo uguali proprio perché diversi, no?

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Forse aprendosi alla modernità e alle libertà si può crescere davvero, insieme, nella presa di distanze dalla libertà irresponsabile.
Almeno secondo me, sensibile al tema della libertà responsabile ma anche al diritto all’amore, quello vero, per tutti.

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