“Tanino, ti stavo chiamando per
ringraziarti. Ho trovato magnifica la cassata”, dice Alberto Dell’Utri
a Cinà. E Cinà: “E’ buona, è arrivata bene?”. Alberto: “Benissimo”.
Cinà: “Comunque, io ti ho telefonato per farti gli auguri”. Alberto:
“Grazie, Tanino. Io ricambio con grande affetto”. Cinà: “Sono giorni
che uno si deve ricordare degli amici fraterni”. E’ il 1986 e al telefono ci sono Alberto Dell’Utri, fratello gemello del braccio destro dell’allora imprenditore Silvio Berlusconi e Gaetano Cinà, considerato il
soldato della famiglia mafiosa di Malaspina a Palermo. Oggetto della telefonata e dei ringraziamenti una cassata che pesava ben 11 chili e 800 grammi. Con su scritto “Canale 5”. Secondo gli inquirenti, che da allora seguono l’evoluzione della “carriera” di Berlusconi, un gentile omaggio della mafia a quel bravo imprenditore milanese.
Quella di oggi al tribunale di Palermo è stato il giorno del procuratore generale Patronaggio, che da anni segue la vicenda di Marcello Dell’Utri, accusato di essere il “padrino” del rapporto tra Forza Italia e la mafia. “Da quando faccio il magistrato
non ho mai incontrato un imputato chiamato a rispondere di un rapporto
trentennale con Cosa nostra. La storia di Marcello Dell’Utri non si
può leggere se non si leggono i suoi rapporti più che trentennali
con la mafia”, ha detto Patronaggio iniziando una lunghissima requisitoria, e chiedendo sette anni di reclusione per l’imputato Dell’Utri.
“Il patto di mediazione tra
Marcello Dell’Utri e Cosa nostra iniziò negli anni Settanta – ha raccontato il pg – fino al
1986 il suo referente erano i fratelli Pullarà di Santa Maria di
Gesù, a partire dal 1986 era Totò Riina. Dagli anni Novanta il patto
si arricchisce di una componente politica, si vuole trovare un nuovo
referente politico che Cosa nostra trova in Forza Italia”. Ma Dell’Utri ha continuato a essere un riferimento per la mafia anche negli anni successivi: “Non è certo Cosa nostra – ha
sottolineato il pg – che fece vincere le elezioni del’94 a Forza
Italia, ma e’ certo che la mafia votòquesto partito. Per quel
che riguarda il periodo precedente, non c’è soluzione di
continuità tra il patto scellerato del ’74 fra Dell’Utri e
l’organizzazione, e il patto rinnovato con Riina nell’86”.
Secondo l’accusa, “Cosa nostra ha stipulato un patto di
protezione con Dell’Utri in favore di Berlusconi, ma
l’associazione mafiosa non è certo un’agenzia di assicurazioni
e vuole il proprio tornaconto”.
La ricostruzione di Patronaggio è precisa, e non fa sconti: “A dicembre ’93 – ha detto – ci fu la trattativa,
termine abusato che non mi piace, la concertazione, il patto
fra Cosa Nostra e Dell’Utri, il rilancio del patto”. Sulla circostanza, ha spiegto
“c’è una straordinaria convergenza fra i pentiti Spatuzza e
Nino Galliano, quello che raccontano è riscontrato. Nel
gennaio del ’94 infatti al bar Doney di Roma Giuseppe Graviano
dirà a Spatuzza che ‘persone serie ci hanno messo il Paese
nelle mani'”.
Nel concludere la sua requisitoria, il pg ha definito il comportamento di Dell’Utri “molto grave”, quasi accusandolod i aver “consegnato” un imprenditore (Berlusconi) alla mafia: “Il senatore ha assoggettato
– ha detto infatti Patronaggio – uno dei più importanti imprenditori italiani
costringendolo a pagare le estorsioni a Cosa nostra. Dell’Utri
ha agito in modo consapevole e volontario, per fini personali,
volti ad accrescere il proprio potere politico ed economico. Ha
messo in contatto Cosa nostra con Berlusconi – ha sostenuto
Patronaggio – ha permesso che la mafia condizionasse la linea
imprenditoriale e politica del Paese. E’ un patto di protezione
mai sciolto e portato avanti nel tempo, cosa che ne ha
aggravato le conseguenze”.
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