La curia vaticana è irriformabile, o almeno lui non è riuscito a cambiarla. Pure se non l’ha detto esplicitamente ieri, il Papa, ci è andato molto vicino quando ha parlato, durante il rito del mercoledì delle ceneri nella basilica di San Pietro, di quella Chiesa deturpata “dalle divisioni del corpo ecclesiale”. Un colpo tremendo che mostra agli occhi del mondo come la crisi di governo, lo sbandamento istituzionale dei vertici vaticani, sia tutt’altro che risolto. Le sue dimissioni, insomma, non chiudono la stagione delle lotte intestine alla Curia romana, anzi certificano l’urgenza del rinnovamento.
In un solo giorno il Papa dimissionario è riuscito così a rendere incerto il conclave che, adesso, non potrà più essere costretto nelle logiche di corrente o di affiliazione. Con le dimissioni – ieri rivendicate esplicitamente quale atto libero e consapevole – Ratzinger ha desacralizzato il ruolo del capo della Chiesa universale trasportandolo dalla monarchia assoluta e quasi divina verso la dimensione di vescovo di Roma che, in effetti, in qualche modo può lasciare per raggiunti limiti di età. Poi ha lanciato la sua sfida all’intera Chiesa. Basta lotte e individualismi, Gesù, spiegava ancora in una basilica vaticana piena di fedeli ma silenziosa e assorta, ha denunciato l’ipocrisia religiosa di chi cerca il successo e l’applauso ad ogni costo. Formula che può avere diversi significati, ma certo non indica la strada del patto con il potere, qualsiasi veste esso assuma.
Sono parole che riecheggiano quelle scritte il 10 marzo del 2009 nella lettera all’episcopato mondiale per chiarire una delle scelte più controverse del pontificato, la revoca della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani compreso quel Richard Williamson, antisemita non pentito. Le polemiche, allora, furono infinite anche fra vescovi e cardinali. Il Papa citò un brano di San Paolo nel quale si affermava: “amerai il prossimo tuo come te stesso. Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!”. “Questo ‘mordere e divorare’ – spiegava poi il Papa – esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata. È forse motivo di sorpresa che anche noi non siamo migliori dei Galati? Che almeno siamo minacciati dalle stesse tentazioni? Che dobbiamo imparare sempre di nuovo l’uso giusto della libertà?”.
E tuttavia quella vicenda, il tentativo di recuperare le frange ultratradizionaliste, rappresenta uno degli obiettivi mancati del pontificato; prima l’apertura decisa verso la Fraternità di San Pio X, poi un negoziato infinito che non è approdato a nulla ma ha fatto sorgere diffidenze nel mondo ebraico e non solo. A quella ipotesi era inoltre legata una rilettura del Concilio Vaticano II che, nei primi anni di governo, è stata fortemente revisionista per poi tornare, in tempi recenti, ad essere interpretazione problematica di un momento decisivo nella storia della Chiesa. Insomma il professore, l’uomo di studio con le sue incertezze e le sue domande, ha prevalso non solo sull’uomo di governo, ma anche sul pastore, che comunque aspira ad essere una guida per il suo popolo sia pure al servizio del Signore.
A un certo momento, poi, Benedetto XVI ha deciso di lavare i panni sporchi in pubblico affrontando – a partire dalla tragedia della Chiesa irlandese – lo scandalo pedofilia e ha affermato che un simile peccato commesso da un sacerdote “è ancora più grave” proprio per la fiducia che la gente ripone nell’abito e nella funzione del prete. Si può dire, ora, che su questa strada il Pontefice è stato seguito solo da pochi collaboratori e vescovi, per molti altri ha prevalso l’istinto di sopravvivenza e di gruppo, del resto le responsabilità e le coperture erano diffuse a macchia d’olio in un numero esteso di diocesi, ordini religiosi, scuole cattoliche, parrocchie, congregazioni. Ci sono state però eccezioni importanti, come quella dell’episcopato americano che da anni aveva intrapreso il cammino della tolleranza zero, o l’apertura all’esterno promossa dal cardinale Christoph Schoenborn arcivescovo di Vienna. Ma Ratzinger ha anche provato a ridurre i dicasteri vaticani, a diminuire il ruolo dei diplomatici – che in effetti non l’hanno mai amato – e a combattere il carrierismo rilanciando una spiritualità un po’ conservatrice e sospettosa verso la modernità che non ha trovato grandi adepti.
Non è un mistero che personalità come i cardinali Angelo Sodano, Leonardo Sandri o Stanislaw Dziwisz – in qualche modo ascrivibili a un wojtylismo tutt’altro che limpido nella su concezione del potere – non abbiano condiviso troppo l’azione di questo Papa intransigente dottrinariamente e sotto il profilo dell’etica personale. D’altro canto il Papa contava su pochi fedelissimi in Curia, fra questi un Segretario di Stato come Tarcisio Bertone, che ha dimostrato, al di là degli attacchi violenti cui è stato sottoposto, poca propensione diplomatica e politica.
Quest’articolo è apparso anche sul Secolo XIX.