Marilù assolta: volevano bloccare le sue inchieste
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Marilù assolta: volevano bloccare le sue inchieste

"Il fatto non sussiste": Mastrogiovanni assolta. Una vicenda lunga 7 anni. E per il Gup si è tentato "di paralizzare l'attività giornalistica dell'imputata".

Marilù assolta: volevano bloccare le sue inchieste
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24 Febbraio 2013 - 16.25


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Il fatto non sussiste. E’ la sentenza con la quale è stata assolta dopo dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa la giornalista Marilù Mastrogiovanni, direttora del Tacco d’Italia. A portarla davanti al Tribunale penale di Casarano, presidente Sergio M. Tosi, è stato Paolo Pagliaro, editore televisivo salentino molto noto, a sua volta protagonista di alcune vicissitudini giudiziarie, ma come imputato. Proprio queste vicende (l’uomo subì anche gli arresti domiciliari per un’inchiesta della procura barese, il cui processo è stato recentemente stralciato dal troncone principale nel quale è stato invece condannato l’ex ministro Fitto), insieme ad una serie di irregolarità e stranezze nella conduzione della sua azienda, costituirono l’oggetto di una corposa inchiesta di copertina de Il Tacco d’Italia, andato in edicola nel dicembre 2005.

Un servizio molto ampio, dettagliato e documentato come bella consuetudine di questa testata, corroborato anche da autorevoli testimonianze, come quelle del giornalista Marco Travaglio e dell’allora presidente dell’Ordine dei giornalisti di Milano, Franco Abruzzo.

Il pm ha chiesto l’assoluzione dell’imputata, non avendo ravvisato nel dibattimento gli elementi che avevano invece indotto il pm dell’istruttoria, dottor Antonio De Donno, ad individuare ben 12 punti sui quale chiedere (e poi ottenere) il rinvio a giudizio di Mastrogiovanni. La parte civile, rappresentata dall’avvocato Angelo Pallara, ha chiesto la condanna della giornalista, sostenendo il suo reiterato intento “persecutorio” nei confronti del suo assistito; la difesa, rappresentata dall’avvocato Massimo Manfreda, ha invece rivendicato non soltanto la correttezza dell’impianto giornalistico dell’inchiesta su Pagliaro (il cui titolo era “L’impero virtuale”) ma, soprattutto, il sacrosanto diritto dell’informazione a dare notizie ed elaborare critiche. “Specialmente quando l’oggetto dell’attenzione professionale è un uomo pubblico”, ha sottolineato Manfreda. Oggi, più di ieri, Pagliaro è “pubblico” essendo addirittura candidato alla Camera con un partito di destra, dopo essere stato candidato nelle primarie per diventare sindaco di Lecce. Massimo Manfreda ha concluso con la famosissima battuta di Humphrey Bogart, giornalista nel film L’ultima minaccia, del 1952. “E’ la stampa, bellezza”.

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“Sono stati sette anni molto duri dal punto di vista professionale e personale – ha detto Marilù.

Pagliaro aveva chiesto un risarcimento danni di mezzo miliardo di lire, ad un giornale d’inchiesta nato da appena un anno, messo su con i soldi ricevuti come regalo di nozze dai parenti. Il sogno ha rischiato di naufragare, perché la richiesta spropositata e i capi d’imputazione fantasiosi avevano un chiaro intento intimidatorio. Ma nel tempo il gruppo di giovani colleghi che condividevano il progetto di un giornale d’inchiesta indipendente, senza finanziamenti pubblici né di partito, si è ingrossato. Quest’anno l’impresa editoriale compie dieci anni, non abbiamo mai smesso di fare inchieste e anzi è aumentato il loro peso, con la nostra crescita professionale e la capacità di indagare e scavare. E’ nata una cooperativa di giornalisti, che è anche l’editore del Tacco, a maggioranza femminile. Condividiamo idee e sogni. La deontologia professionale la nostra barra di navigazione, la Costituzione italiana il nostro piano editoriale”.

L’Associazione della Stampa di Puglia ha espresso “soddisfazione per la sentenza con cui il tribunale di Lecce, dopo sette anni, ha assolto la collega Marilù Mastrogiovanni, direttrice del Tacco d’Italia, dall’accusa di diffamazione a mezzo stampa, rigettando anche la richiesta di risarcimento danni, presentata dall’editore Paolo Pagliaro. A giudizio del sindacato dei giornalisti, è significativo che i giudici del Tribunale di Lecce abbiano riconosciuto alla cronista l’esimente del diritto di cronaca. In questa vicenda, infatti, – dice Assostampa in una nota – la collega Mastrogiovanni ha fatto soltanto il proprio dovere di cronista, raccontando fatti di indiscusso interesse pubblico ed evidenziando violazioni delle norme sulla sicurezza del lavoro e sugli obblighi di contribuzione volontaria. Situazioni purtroppo ancora diffuse, anche in aziende editoriali del Salento, come peraltro denunciato di recente da colleghi giornalisti salentini e da questa Associazione”.

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Secondo il legale di Mastrogiovanni, Massimo Manfreda, non si può parlare di reiterazione del reato (che scaturirebbe dalla pubblicazione, sul Tacco d’Italia, di più articoli inerenti Pagliaro), dal momento che, data la natura del lavoro giornalistico, ogni nuova pubblicazione deve essere considerata come a se stante, in quanto riferisce di episodi nuovi, nel frattempo verificatisi.

Inoltre, essendo Pagliaro un personaggio pubblico, ha sostenuto l’avvocato, attira necessariamente l’attenzione della stampa, e dunque dell’opinione pubblica. Non si può sostenere, per questa ragione, alcun accanimento della giornalista nei suoi confronti.

La prima udienza del processo penale si tenne l’11 novembre 2008 con una quantità di capi d’imputazione spropositata, ben dodici, che riportiamo di seguito sinteticamente:

1) la dichiarazione “Rts è clandestina” (si trattava dell’autorevole opinione di Franco Abruzzo che analizzava il rispetto della legge sulla stampa da parte di quella tv);

2) “Nel 2003 nessun dipendente dichiarato” (tanto però risultava da una visura Cerved);

3) nell’inchiesta si riferiva di una serie di circostanze su pignoramenti esattoriali di Max Persano, il vero direttore responsabile di tutte le reti;

4) si faceva anche un accenno allo scandalo delle false fatturazioni di Telerama, che per giorni aveva occupato le prime pagine dei quotidiani locali, più di 10 anni fa;

5) l’aver parlato dei debiti che l’ex proprietario di Rts lamenta, in un giudizio civile in corso, nei confronti della Broker PR, la concessionaria di pubblicità di Pagliaro;

6) l’aver parlato del processo per truffa relativa ai finanziamenti presi ai sensi della legge 488 e del rischio di prescrizione;

7) l’aver parlato del rinvio a giudizio di Pagliaro per il furto di due serrature degli uffici di via Marugi, poi restituite dalle Autorità al legittimo proprietario, Fabio Chiarelli;

8) l’aver pubblicato un commento di Marco Travaglio (fotografato mentre legge l’inchiesta “incriminata”)sulla citazione del Tacco da parte di Pagliaro nella sola sede civile. Travaglio sottolineava come la citazione civile sia un tentativo di intimidazione, mentre la querela permette al pm di indagare e all’imputato di esprimere le proprie ragioni nel dibattimento;

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9) l’aver dettagliato il non rispetto delle più basilari norme sulla sicurezza del lavoro in alcune sue sedi dei tg, mandati in onda da una “cantina”;

10) l’aver scritto che la Guardia di finanza potrebbe accertare a quanto ammonti il debito previdenziale accumulato nei confronti dei dipendenti in anni e anni;

11) l’aver scritto, a proposito dell’iniziativa benefica “Cuore Amico”;

12) infine per aver scritto che “la citazione per danni è un’infamità che tende oggettivamente ad intimidire la libertà di stampa”.

Ma Paolo Pagliaro aveva già querelato la direttora del Tacco d’Italia Mastrogiovanni per un’altra inchiesta, che anni fa aveva sollevato un polverone nell’opinione pubblica salentina e che riguardava i contributi dati dalla Provincia di Lecce (giunta Pellegrino) a Telerama con affidamento diretto oltre soglia; la vicenda dei finanziamenti pubblici all’emittenza tv privata ottenuti con autocertificazioni e l’occupazione abusiva di frequenze della Rai.

Soltanto che all’epoca (settembre 2010) il procedimento si fermò innanzi al Gup Annalisa De Benedictis, la quale si espresse con una sentenza di proscioglimento che entrava nel merito dell’inchiesta del Tacco e dei vari capi d’imputazione con i quali il PM (anche questa volta Antonio De Donno) aveva chiesto il rinvio a giudizio: “Le diffide e le querele – scrisse il Gup – per quanto legittime, hanno pur sempre raggiunto lo scopo di tentare di paralizzare l’attività giornalistica dell’imputata, che di fatto si è vista protagonista di procedimenti penali tutt’ora sub iudice”. Anche in quell’occasione Marilù Mastrogiovanni era difesa dall’avvocato Massimo Manfreda, del foro di Brindisi.

Per saperne di più:

IN http://www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=23319

IN http://www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=23322

IN http://www.iltaccoditalia.info/sito/index-a.asp?id=23327

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