Elezioni, il carro degli sconfitti è sempre vuoto
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Elezioni, il carro degli sconfitti è sempre vuoto

“Colpa degli italiani”. Il capro espiatorio del centrosinistra è già pronto. A mascherare la responsabilità di chi non ha saputo interpretare le pance degli elettori.

Elezioni, il carro degli sconfitti è sempre vuoto
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27 Febbraio 2013 - 16.36


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di Cecilia M. Calamani

«Apriremo il parlamento come una scatoletta di tonno». Detto, fatto. Beppe Grillo, il «buffone», il «populista», come è stato definito bipartisan, ha dato una stoccata micidiale al sistema politico-partitico italiano delle spartizioni parlamentari. Il suo risultato si somma al prevedibile disastro indotto dal Porcellum, l’orrenda legge elettorale varata dal Pdl, che con i suoi premi di maggioranza al Senato su base regionale ha rimarcato ancor di più l’ingovernabilità di un paese diviso in tre. Maggioranze relative a parte, ha vinto il «vaffanculo!», il «mandiamoli a casa!» e sembra che la colpa sia degli italiani che hanno votato male. Non di chi non è riuscito a conquistare il loro voto. Anzi, a sentire i protagonisti di questa campagna elettorale, nessuno ha perso.

Non ha perso Berlusconi, che millanta un successo strepitoso fingendo di dimenticare i risultati del 2008, rispetto ai quali la sua coalizione è scesa del 17,7 per cento alla Camera e del 16,6 al Senato. Non ha perso il centrosinistra, che si dice «prima forza politica del Paese» nonostante abbia preso addirittura meno voti di quando, cinque anni fa, ha perso le elezioni (5,9 per cento di voti in meno alla Camera e 8,5 in meno al Senato). Non ha perso Vendola, che dicendo «missione compiuta» dimostra di non aver capito che la vera «missione» non era portare in parlamento una manciata di suoi adepti ma vincere le elezioni. Non ha perso Monti, che si aspettava di meglio ma in fondo si accontenta del risultato. Non ha perso Casini, che si è sacrificato sull’altare di una coalizione centrista di più ampio respiro. Sembra che gli unici a dichiarare il fallimento siano stati Fini e Ingroia, quest’ultimo persino scaricandone la responsabilità su Bersani.

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Tutto ciò ha un solo significato: nessuna tra queste mummie politiche ha capito la lezione. Gli elettori italiani non li vogliono, non si fidano, sono stufi. Sono arrivati al “tanto peggio tanto meglio” efficacemente sintetizzato dai vaffanculo grillini. Questi signori non hanno perso grazie a Grillo ma grazie a loro stessi, e se avessero l’umiltà di accorgersene dovrebbero dimettersi immediatamente da ogni carica nel loro partito.

A cominciare da Bersani, il cavallo dato per vincente in questa corsa elettorale. Primo, perché se avesse fatto una opposizione almeno decente al governo Berlusconi e non si fosse prestato a fare da servile spalla al successivo governo tecnico oggi non avrebbe perso; secondo, perché se al suo posto il Pd avesse presentato una faccia nuova in grado di cogliere il malumore e trasformarlo in rottura con il passato (ogni riferimento a Renzi è puramente voluto) le elezioni le avrebbe vinte battendo Grillo sul suo stesso terreno. Terzo, perché non è stato capace di cogliere un segnale drammatico che invece non è sfuggito e non sfugge al suo avversario naturale, Berlusconi, il quale ci ha costruito sopra non solo la sua fortuna politica, ma anche la “rimonta” dopo esser stato dato per spacciato: l’analfabetismo politico degli italiani.

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Il linguista Tullio De Mauro, intervistato proprio qualche giorno fa dal [url”Fatto Quotidiano”]http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/02/20/de-mauro-analfabetismo-di-ritorno-ecco-perche-italiani-votano-con-pancia/221887/[/url] ha rivelato che più della metà degli italiani «ha difficoltà a comprendere l’informazione scritta e molti anche quella parlata» grazie all’«analfabetismo di ritorno», quel fenomeno che riguarda chi, pur avendo imparato a leggere e scrivere, a causa del disuso intellettuale non ha più le capacità di comprensione del discorso, anche politico. Il che si traduce, in tema di elezioni, in un voto «di pancia» con ovvie conseguenze per la democrazia, afferma De Mauro.

Questo aberrante dato, dallo stesso Berlusconi alimentato attraverso la sistematica distruzione della istruzione pubblica, è stato usato dal Pdl per costruire la sua fortuna politica, arrivando in questa campagna elettorale a promettere le stesse balle di sempre. Il Pd, invece, lo ha semplicemente ignorato.

A quali “pance” ha parlato Bersani? Non certo a quelle deluse e rabbiose, che vedono nella casta politica il peggior nemico. Eppure, tra queste pance non ci sono solo gli analfabeti di ritorno, quelli abbagliati dal fantomatico rimborso dell’Imu, ma i giovani, più o meno colti, ai quali è precluso un futuro. Ci sono gli arrabbiati e gli sconfitti, quelli che guardano con costernazione e disgusto a un sistema politico e partitico corrotto, colluso, che si alimenta del suo stesso potere mentre il Paese va a picco.

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Gira sui social network, in queste ore, uno slogan: «Quando uscite di casa, prendere a schiaffi un italiano su tre. Lui non sa perché, voi sì». Anche Piergiorgio Odifreddi, solitamente lucido e ficcante nelle sue analisi, rimarca il concetto scrivendo sul suo [url”blog”]http://odifreddi.blogautore.repubblica.it/2013/02/26/padre-pio-vanna-marchi-e-grillo/[/url]: «Il problema non sono Berlusconi o Grillo, il problema siamo noi». “Noi” che non abbiamo votato centrosinistra, cioè. Ma siccome “noi” siamo questi e questi resteremo finché una politica davvero lungimirante non si industri per elevarci da elettori “di pancia” a elettori “di testa”, gli schiaffi che lo slogan invoca dovrebbero essere diretti a chi non è stato capace di incarnare il desiderio di cambiamento, di placare il grido di sfiducia. Che si alza non solo dalle pance, ma anche dalle teste di tanti elettori.

Gli schiaffi li dovrebbero prendere Bersani, il suo partito e i suoi alleati. Sono loro che hanno perso. Sono loro che non hanno saputo fornire un’alternativa, ignorando le grida che da anni vengono dal basso. Non gli italiani che, analfabeti e non, hanno solo manifestato il vuoto di cui sono per primi vittime.

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