Alla Chiesa in rovina serve un Francesco che la ricostruisca
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Alla Chiesa in rovina serve un Francesco che la ricostruisca

Questo Papa ha conquistato tutti, anche i non credenti, per la sua capacità di comunicare semplice sincera e spiazzante. Aria di rinnovamento. [Giancarlo Governi]

Alla Chiesa in rovina serve un Francesco che la ricostruisca
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18 Marzo 2013 - 10.05


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di Giancarlo Governi

Il giovane Francesco, ancora all’inizio nella sua ricerca spirituale, un giorno era uscito nella campagna per meditare. Trovandosi a passare vicino alla chiesa di San Damiano, che minacciava rovina, vecchia com’era, spinto dall’impulso dello Spirito Santo, vi entrò per pregare. Pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, si sentì invadere da una grande consolazione spirituale e, mentre fissava gli occhi pieni di lacrime nella croce del Signore, udì con gli orecchi del corpo una voce scendere verso di lui dalla
croce e dirgli per tre volte: «Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!». (dalla Vita di S. Francesco)

Questo Papa ha conquistato tutti, anche i non credenti, non soltanto con la sua capacità di comunicare semplice sincera e spiazzante (quel “buonasera” con cui si è presentato dalla Loggia delle Benedizioni poteva pronunciarlo soltanto uno stolto o un genio) ma anche con il nome che si è scelto, un nome che nessun Papa aveva mai osato imporsi. Dico osato perché Francesco di Assisi è stato veramente il grande antagonista della Chiesa che deborda dai suoi binari, della Chiesa che dimentica i motivi per cui è stata fondata per inseguire il potere e le ricchezze.

Oggi la Chiesa, quella di Roma, si è allontanata dalla sua missione, mostrando di non capire il mondo, i pericoli e le sofferenze dell’umanità, ora che è “tutta in rovina”, ha bisogno di un Francesco che la ricostruisca. E questa necessità vogliamo credere che l’abbia colta anche il Papa che si è dimesso,
come un atto di riparazione per non essere stato in grado di fronteggiare il degrado della curia o forse come un ultimo dono alla sua Chiesa. Si dice che durante il conclave nella Sistina discenda a un certo punto lo Spirito Santo per suggerire ai cardinali il nome giusto.

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Qualche volta lo Spirito Santo sembra aver latitato (i credenti ortodossi sanno spiegare anche questo: il Signore nei suoi imperscrutabili disegni può fare anche scelte incomprensibili alla ragione umana) ma questa volta ha suggerito una scelta che anche le nostre umane menti hanno capito. E approvato.

Ogni gesto di Papa Francesco sembra studiato per ottenere un effetto spiazzante ma in realtà sono troppi per non credere alla loro spontaneità e pensare a un disegno studiato: il rifiuto del lusso, dei simboli della
ricchezza come la grande automobile targata SCV 1, il rifiuto della croce d’oro
per una semplice croce di ferro, il rifiuto delle scarpe rosse per le vecchie
sformate e consumate scarpe nere con cui chissà quanto avrà camminato per le
vie di Buenos Aires.

Ma quello che spiazza e incanta non soltanto la gente comune ma anche gli specialisti della comunicazione è il suo linguaggio semplice, da uomo comune che parla agli altri uomini con il linguaggio del
cuore che scalda i cuori. E anche con una buona dose di leggerezza, che un grande scrittore come Italo Calvino considerava una delle qualità principali. Come il “buonasera” con cui si è presentato e il “buon pranzo” con cui ha chiuso il suo primo Angelus.

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Sono qualità che hanno spiazzato i quasi diecimila
giornalisti presenti alla sua prima udienza, ai quali Papa Giovanni,
dimostrando di conoscere il “mestiere”, ha regalato alcuni scoop come il
racconto dei momenti della sua elezione e lo svelamento del significato del
nome scelto come Papa. Qualcuno aveva pensato che si fosse riferito a Francesco
Saverio, il cofondatore della Compagnia di Gesù a cui Bergoglio appartiene, o
ad altri santi che hanno portato il nome di Francesco.

Non mi risulta che fosse abitudine dei Papi rendere pubblici i motivi della scelta del nome. Ratzinger
non ha mai detto a nessuno perché si fosse chiamato Benedetto, ad esempio, lasciando ai vaticanisti liberi di interpretare a piacere. Francesco invece ha chiarito subito che si era voluto chiamare come il Poverello di Assisi perché sogna “una Chiesa povera vicina ai poveri”. Insomma, come dice Filippo Anastasi qui su Globalist, da Papa Francesco ci aspettiamo una rivoluzione, a partire dalla Curia, dalla Chiesa degli scandali
e dei banchieri da cui è fuggito Papa Benedetto, una ricostruzione della Casa del Signore “tutta in rovina”.

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Ma ci aspettiamo anche non un ritorno alla
povertà francescana ma una riduzione alla sobrietà di una Chiesa pastorale che
entra fra i popoli, fra i poveri, fra gli ultimi per mitigare il dolore e le
miserie ma anche per capire i problemi e i dolori del nostro tempo, con lo
spirito del perdono e della misericordia. Se questo sarà, Papa Francesco
riconquisterà il suo popolo, anche quello che si è allontanato, e aprirà un
dialogo vero con gli altri, con tutti anche a chi crede diversamente e a chi
non crede affatto. Una anticipazione di questo programma ambizioso e coraggioso
lo ha dato proprio alla conclusione dell’udienza dei giornalisti, quando si è
reso conto di avere davanti persone diverse e non una massa di suoi fedeli. “Vi
benedico piano – ha detto – perché fra voi ci sono quelli che seguono altre
religioni, e alcuni saranno addirittura atei!”. Che straordinario programma di
tolleranza e soprattutto di rispetto! Sembra che Papa Francesco abbia fatta sua
anche la lezione di Voltaire.

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