Papa Francesco, primo Pontefice latino-americano, vuole una rapida conclusione della causa di beatificazione di monsignor Oscar Arnulfo Romero, l’arcivescovo di San Salvador ucciso da un sicario il 24 marzo 1980, mentre celebrava la messa nella cappella di un ospedale della capitale salvadoregna, per il suo impegno nel denunciare le violenze della dittatura.
«La causa di beatificazione si è sbloccata», ha annunciato il postulatore mons. Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio della Famiglia. Mons. Paglia ne ha parlato a Molfetta (Bari) in occasione della celebrazione per i venti anni della morte di don Tonino Bello, vescovo presidente di Pax Christi, per il quale è pure in corso il processo di beatificazione, dopo l’udienza avuta sabato con papa Francesco. «Oggi stesso – ha detto Paglia durante la messa – giorno della morte di don Tonino Bello, si è sbloccata la causa di beatificazione di mons. Romero. Domani posso tornare a dire che questi martiri ci aiutano a vivere».
Subito prima l’arcivescovo, esponente della Comunità di Sant’Egidio, aveva ricordato che «mons. Romero, pochi mesi prima di morire per mano degli “squadroni della morte”, aveva detto che il Concilio Vaticano II chiede a tutti i cristiani di essere martiri, cioe’ di dare la vita: ad alcuni chiede questo fino al sangue, ma a tutti chiede di dare la vita».
La causa di beatificazione di mons. Romero, venerato come un santo martire nell’America Latina e simbolo della difesa dei poveri e degli oppressi, è stata aperta nel 1997 ma nell’ultimo decennio ha conosciuto un lungo periodo di stasi. Trucidato per la sua instancabile denuncia dei militari e degli «squadroni della morte» che insanguinavano il Paese, Romero ebbe non poche incomprensioni con la Curia romana e le gerarchie ecclesiastiche, nonostante fosse un presule di provenienza conservatrice.
L’avvento di Bergoglio sul Soglio di Pietro vede ora, tra i primi atti, proprio lo sblocco del riconoscimento del suo martirio, evento che assume notevole importanza per la Chiesa non solo latino-americana. A tale fine, può avere avuto rilievo la testimonianza rilasciata nel 2010 – a trent’anni dalla morte di Romero – dal capitano Alvaro Rafael Saravia, l’unico condannato per l’omicidio, che ha confermato che l’arcivescovo fu «ucciso in odio alla fede».
Quel 24 maggio 1980, mentre celebrava la messa nella cappella dell’ospedale oncologico di San Salvador, Romero fu ucciso da un cecchino che gli sparò sull’altare. Nell’omelia aveva ribadito la sua denuncia contro il governo di El Salvador, che – nel contesto della guerra civile vissuta dal Paese centroamericano – aggiornava ogni giorno le mappe dei campi minati mandando avanti bambini che restavano squarciati dalle esplosioni.
L’assassino (come mandante fu indicato il leader dell’estrema destra, maggiore Roberto d’Aubuisson) sparò un solo colpo, che recise la vena giugulare, mentre mons. Romero elevava l’ostia della comunione. Nel trentennale della morte, il 24 marzo 2010, il presidente salvadoregno Mauricio Funes ha chiesto perdono a nome del governo per l’uccisione del presule. In precedenza, in occasione del Giubileo del 2000, Giovanni Paolo II aveva citato Romero nel testo della «celebrazione dei Nuovi Martiri».