Il comandante Memo: storia di un partigiano
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Il comandante Memo: storia di un partigiano

Alessandro Brucellaria aveva combattuto sulle Apuane. Dopo la guerra avrebbe potuto chiedere molto, ma volle tornare al suo umile lavoro di ornatista. [Giancarlo Governi]

Il comandante Memo: storia di un partigiano
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24 Aprile 2013 - 22.54


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di Giancarlo Governi

Oggi, 25 aprile, voglio raccontare ai lettori di Globalist la storia di un uomo realmente esistito e che si chiamava Alessandro Brucellaria, nato a Carrara nel 1914 e morto nel 1998, all’età di 84 anni. Alessandro però, da quando lo aveva preso come nome di battaglia da partigiano fu conosciuto per sempre come Memo. Il comandante Memo.

Perché Memo aveva comandato la Brigata Garibaldi che aveva combattuto sulla linea gotica, nella Versilia, sulle Apuane e sulla Lunigiana e negli ultimi tempi della guerra di Liberazione aveva avuto sotto il suo comando quasi 2000 uomini.
Dopo la Liberazione Memo avrebbe potuto chiedere onori e prebende, avrebbe potuto diventare parlamentare, forse anche ministro, ma volle tornare al suo umile lavoro di ornatista.

Io avevo sentito parlare di lui, da ragazzo quando facevo il liceo, perché avevo avuto la fortuna di avere come professore di Storia e Filosofia Roberto Battaglia, il primo storico della Resistenza. Battaglia parlava di Memo come di una sorta di cane sciolto, di uno cioè che andava per conto suo, che non stava alle disposizioni degli Alleati. Memo aveva infatti liberato Carrara tre volte e le prime due volte lo avevano fatto tornare indietro perché gli Alleati non si sentivano ancora pronti per l’offensiva finale.

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Conobbi molti anni dopo il Memo. Mi fu presentato a Pontremoli, la magica città del libro, dove avevo vinto un premio Bancarella. Mi proposero di scrivere un libro su di lui. Io ero titubante perché non era il mio genere – avevo scritto infatti libri su Totò, su Coppi, sulla Magnani, su De Sica. Cosa c’entro io con il Memo e la Resistenza.

Andai a trovarlo a Carrara per conoscerlo meglio. Abitava in una casa su cui incombevano i simboli delle sue grandi passioni, dopo la politica: lo stadio dove gioca la Carrarese la squadra dove Memo ha giocato e le Apuane con le sue cave di marmo.
Perché Memo era di quella razza carrarina che ha vissuto con il marmo, che ha lottato per strappare il marmo alla montagna che spesso vuole tributi di sangue. Un figlio e un genero di Memo hanno lasciato la loro vita su quelle cave. Appartiene a quella gente i cui antenati hanno conosciuto Michelangelo, questo omino forte come l’acciaio e bisbetico che andava a scegliersi i marmi da cui ricavava i suoi capolavori. Gente forte e libera i carrarini, anarchici e socialisti che aveva dato sempre del filo a torcere ai fascisti e a Mussolini.

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Passeggiavamo quella volta per le strade di Carrara e notai che Memo veniva accolto dal saluto di tutte le persone che incontrava. Era tutto un ciao Memo. La cosa mi colpì molto, soprattutto perché a salutarlo erano anche i ragazzi. Ne avvicinai uno e gli chiesi perché lo salutate. Perché è il nostro eroe, il nostro Che Guevara.
Accettai di scrivere il libro proprio perché in un’epoca smemorata si conservasse la memoria delle gesta di un uomo che aveva fatto il suo dovere di italiano e aveva combattuto per darci la libertà e la democrazia. Beni supremi, come l’acqua, che apprezziamo soltanto quando ci vengono a mancare.

L’ho raccontato alla mia maniera, sotto forma di romanzo rispettando i fatti e i personaggi ma ricostruendoli e dandogli vita.
Si intitola Hai visto passare un gatto nero e ne spiego il perché. Quando i partigiani decidono di passare dalle azioni di sabotaggio cittadino alla guerra per bande hanno bisogno di armi. Allora Memo decide di andarsele a prendere là dove sono, nella caserma della federazione fascista. Infiltra due partigiani fra i brigatisti neri. Dopo qualche giorno i due fanno sapere che la notte dopo saranno di guardia e che la parola d’ordine sarà Hai visto passare un gatto nero. La notte dopo Memo si presenta con una decina di partigiani. Chi va là, gridano i due infiltrati, parola d’ordine. Hai visto passare un gatto nero. Entrate. Memo entra, prende prigionieri i brigatisti neri che stanno dormendo e gli porta via tutte le armi.

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Il gatto nero diventerà il simbolo dei partigiani di Memo che combatteranno fino alla liberazione di tutta la Versilia e di Carrara, che liberarono tre volte. Le prime due furono gli Alleati a farli tornare indietro perché non si sentivano pronti per l’avanzata, la terza volta definitivamente. Alla loro testa c’era Memo, Alessandro Brucellaria, l’unico uomo al comando di duemila ragazzi che portavano nel cuore tre cose: Libertà, Giustizia sociale e Italia.

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