Le persone evacuate sono già 30, ma la frana fa paura: corre lungo due chiloemtri e mezzo sull’Appennino tosco-emiliano. Eppure quel che sta accadendo nel Comune di Tizzano Val Parma, in Emilia Romagna, per ora solleva pochissimo interesse e scarsa indignazione. Proprio stamattina, però, i sindaci della zona si sono dati appuntamento insieme all’Associazione nazionale bonifiche (Anbi) per ragionare sul dissesto idrogeologico della zona. Titolo esemplificativo: “Appenino, ultima chiamata”. “O il governo decide di intervenire, non solo sulla scoprta delle emergenze, ma comprendendo che la messa in sicurezza del territorio è una priorità, o continueremo a spendere soldi e perdere attività produttive. Perché ricordiamolo: ai costi dell’emergenze delle frane vanno poi aggiunti quelli delle aziende che chiudono i battenti, delle famiglie che perdono casa”, dice il presidente dell’Anbi, Massimo Gargano.
Una emergenza nella “vacanza” di governo. A Tizzano per ora non è stata dichiarata alcuna emergenza. Motivo? Il disastro è avvenuto dopo le elezioni, con il governo Monti che non ha voluto – evidentemente – dare il via libera a spese “straordinarie” e quello nuovo che tardava a formarsi. Appena insediato l’esecutivo Letta, il sindaco di Tizzano ha inviato una lettera al nuovo presidente del Consiglio: qualcuno lo ascolterà? Per capire cosa sta succedendo a Tizzano, e nei Comuni limitrofi, basta visitare la pagina Facebook “Tizzano Emergenza Frane”: le immagini fanno paura. Bisogna scorrere indietro, risalire al 15-20 aprile, quando si sono verificati i danni peggiori, e quando i giovani assessori hanno cominciato a fotografare, archiviare. Un modo per denunciare tutto quel che sta accadendo, perché non si faccia finta di non sapere. E’ un miracolo che non sia morto nessuno. Le fotografie fanno paura: in pratica la montagna sta camminando. “I movimenti franosi hanno interessato per ora due strade regionali e cinque comunali e hanno compromesso diverse abitazioni e qualche attività produttiva – racconta il sindaco di Tizzano, Amilcare Bodria – per noi è un disastro: intanto perché il Comune, che conta 2 mila abitanti, in estate arriva a ‘gonfiarsi’ di turisti e raggiungiamo gli 8 mila abitanti: chiaramente tutto ciò è compromesso.
Ma non solo: l’interruzione della viabilità ha significato un colpo gravissimo al sistema produttivo: qui produciamo il 10% del prosciutto di Parma e abbiamo due grossi caseifici, che hanno subito grossi danni”.
La causa dell’emergenza. Le grandi piogge, intanto: “In due mesi e mezzo – dice Bodria – è piovuta mille millilitri di pioggia e ci sono state pesanti nevicate. Una situazione che non si verificava dal ’61, e anche allora le frane ci furono, e furono gravi”. Ma non solo, come spiega Gargano dell’Anbi: “Se da un lato il cambiamento climatico si sta strutturando, abituando il nostro paese a concentrazioni molte severe di pioggia – spiega – bisogna aggiungere due fattori: la scarsa cura del territorio con una fortissima impermeabilizzazione del territorio, dovuta alla cementificazione: dal 2005 abbiamo cementificato 244 mila ettari di terra. Infine – continua Gargano – non bisogna sottovalutare l’enorme danno causato dall’abbandono dei campi nelle zone più impervie, come l’Appennino: e non si fa nulla per tenere lì i contadini”.
La prevenzione che non c’è: Risultato: piove e la terra frana, travolgendo case, strade, aziende. A volte, purtroppo, anche persone. Succede sempre più spesso. E sarebbe evitabile: “Come Anbi abbiamo 1.051 progetti cantierabili anche domani per arginare il dissesto idrogeologico del paese: interventi che oltre a salvare pezzi di territorio creerebbero anche posti di lavoro”, dice ancora Gargano. Perché non si fa? Soldi: “Ma è una scusa che non regge – insiste il presidente dell’Associazione nazionale bonifiche – perché per avviare questi progetti servirebbero 836 milioni di euro, meno di un miliardo. Intervenendo sull’emergenza si spende molto di più, e lì i soldi in un modo o in un altro si trovano sempre”. A Tizzano si stima che ci vorranno tra i 7 e gli 8 milioni di euro per rimettere a posto le cose. “E’ risaputo – conclude Gargano – se la prevenzione costa 1 euro, l’ intervento in emergenza ne costa 5”. E poi si parla di spesa pubblica.
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