Agrigento 1993: la mafia inquinò le elezioni
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Agrigento 1993: la mafia inquinò le elezioni

Venti anni dopo, un nuovo pentito rivela: fu la mafia a determinare l’elezione del sindaco. Tutto si decise in una notte buia e misteriosa.

Agrigento 1993: la mafia inquinò le elezioni
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Onofrio Dispenza Modifica articolo

10 Maggio 2013 - 12.10


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di Onofrio Dispenza

Un pentito, Franco Cacciatore parla delle elezioni comunale del 1993 ad Agrigento ed accusa: «Sodano vinse le elezioni con l’aiuto della mafia». Quello di oggi è il terzo pentito che parla su quelle elezioni. Le accuse dei primi due finirono in bolle di sapone e l’affare per due volte è stato archiviato.

Ora, a distanza di venti anni, c’è un terzo pentito che dice: Sodano (dopo essere stato sindaco, divenne senatore) «avrebbe avuto l’appoggio della mafia, e per questo sarebbe riuscito a vincere le elezioni del 1993 diventando sindaco di Agrigento. Per le accuse del pentito Franco Cacciatore, Calogero Sodano ha ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini. L’inchiesta lo vede accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

L’esponente politico – come dicevamo – aveva già subito un procedimento penale, poi archiviato, per lo stesso reato a seguito delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia di un certo livello, Luigi Putrone e Maurizio Di Gati.

Oggi è Cacciatore a tirare in ballo il nome di Sodano. Parla anche di vicende legate ad appalti datati nel tempo, riguardanti la nettezza urbana, la riqualificazione di una zona ad edilizia popolare della città dei templi, Villaseta, e il depuratore tra Agrigento e Favara. Appalti che avevano dato vita a processi quasi tutti conclusi con l’assoluzione di Sodano. Quasi tutti, non tutti.

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Che le elezioni comunali del 1993 fossero state, in qualche modo ”falsate”, appariva chiaro all’indomani del voto, appena conosciuti i risultati ufficiali. Anche alla luce degli exit poll della sera alla chiusura delle urne, che davano un vantaggio di dieci punti agli oppositori del potente schieramento che sosteneva Sodano.

A contendersi la guida di una delle città più disastrate d’Italia, infatti, c’erano Sodano, che attorno a sé aveva raccolto tutta la vecchia politica locale, e dall’altra una schiera di giovani soprattutto di formazione ambientalista, con dentro una importante realtà cattolica ed anche di sinistra.

Candidato a sindaco, avevano Giuseppe Arnone, ambientalista scomodo. In quel voto ,l’allora Pds o dialogava sotto banco con Sodano e amici, o ”fingeva” di essere dalla parte del nuovo. La paura per quel gruppo dirigente era soprattutto l’idea di essere spazzato via dal nuovo. In città si respirava una insolita “primavera”, una inedita voglia di partecipazione che attraversava quartieri alti e agglomerati popolari, giovani e non, i diversi strati sociali. Veniva fuori, civilmente, il desiderio di cambiamento, radicale, e che radicasse nel valore della res pubblica e della tutela del territorio una decisa sterzata. Quello schieramento alternativo era l’annuncio di una diversa idea delle alleanze.

Nonostante gli exit poll che lo davano indietro di dieci punti, Sodano al mattino successivo, allo spoglio, la spuntò per 200 voti, 50,7 contro il 49,3. Una notte buia e ”magica” per le sorti dello schieramento che appoggiava Sodano. Che quel dato ufficiale e non ribaltabile fosse il risultato di un sostanziale ”falso”, più di ogni altra cosa, a mia memoria, lo avevano detto le piazze, il loro entusiasmo, la partecipazione attorno ad un progetto giovane ed alternativo. Una partita che si giocava nella città che forse più di ogni altra incarnava da decenni la concezione di politica come potere, e nient’altro. Tutto era moltiplicatore di consensi, dalla gestione del manicomio a quella del cimitero, dalla compiacenza attorno agli abusi all’acqua distribuita col contagocce.

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Dopo Putrone e Di Gati (pezzi importanti di mafia, ma non agrigentino) era a parlare è uno della città. Franco Cacciatore, successore del potente Arturo Messina di Villaseta. Quel Messina che nelle riunioni di mafia, alla vigilia del voto, si diceva tanto preoccupato che quei giovani ambientalisti prendessero la Bastiglia.

«Se vince Arnone, Cosa Nostra non potrà continuare a tenere le mani sulla città», diceva. Il futuro del Comune di Agrigento era il tema centrale dei summit di mafia, come quello tenuto a Casteltermini, presente un altro pezzo da novanta, il boss Fragapane. Di un incontro ravvicinato di Arturo Messina e Sodano ha parlato il pentito Di Gati. Poi finì tutto in archivio.

Ora quella pagina di cronaca, e di storia, si riapre. Si torna a leggere il capitolo degli appalti assegnati dopo lo scampato pericolo di avere Arnone e altri giovani battaglieri amministratori al governo della città di Pirandello.

Inutile dire oggi cosa avrebbe cambiato un diverso risultato elettorale, se la mafia – come dice Franco Cacciatore – in quelle urne non ci avesse messo lo zampino. È noto, con i se e con i ma non si fa la Storia. Parla, però,lo stato della città, venti anni dopo quella misteriosa notte che rivoltò la volontà degli agrigentini (Chi si mosse? E per fare cosa? Chi fu avvicinato?). Agrigento oggi è una città con la Cattedrale chiusa per una frana che rischia di distruggerla, facendola scivolare a valle. Metafora di tutto quel che accade: il centro storico a perdere, una disoccupazione alle stelle e la migliore gioventù costretta ad andare via, a non tornare.

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Se tutto questo è per quelle “mani” che hanno continuato a ”vegliare” su Agrigento, ci sono responsabilità che prescindono dalle aule giudiziarie e che sono crimini contro la democrazia e la convivenza civile.

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