L'Aquila: viaggio nel cuore ferito che batte ancora
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L'Aquila: viaggio nel cuore ferito che batte ancora

Visitare L'Aquila vuol dire documentarsi: riuscirà questo Paese a capire che la ricostruzione è una questione nazionale?

L'Aquila: viaggio nel cuore ferito che batte ancora
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27 Luglio 2013 - 11.50


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di Giovanni Baiocchetti

Venite nella città dolente… Venite tra la perduta gente. Venite e documentatevi… Venite e portate con voi le immagini e le emozioni che L’Aquila riesce oggi a donare. Conoscere la “ferita” dell’Italia vuol dire scontrarsi con una realtà che non si immagina, che quasi non si vorrebbe conoscere, una realtà di cui si è sentito parlare fin troppo durante il bombardamento mediatico del 2009. Quando si è qui, però, non si può fuggire: quando hai davanti agli occhi lussuosi palazzi storici e maestose chiese in rovina, quando ti trovi circondato da un silenzio assordante di un centro storico vivo, di giorno e di notte, fino a quattro anni fa, non puoi non sapere. Dedicate un giorno della vostra vita alla conoscenza e alla consapevolezza di quanto sta succedendo (e di quanto non sta succedendo) nel cuore dell’Italia.

Ci tengo a far sapere che L’Aquila non è solo sinonimo di distruzione… L’Aquila vive; si adatta tra la periferia, le new town e qualche strada del centro percorribile per una passeggiata. L’università, le scuole, gli uffici, i negozi, i cinema, i teatri ci sono. Non dove erano prima ma ci sono. I luoghi di aggregazione, invece, quelli sì che mancano. Non ci si incontra più in piazza, lungo il Corso o sotto ai portici ma nei centri commerciali e nei supermercati: luoghi di incontro provvisori, di un provvisorio che dopo quattro anni comincia ad essere insopportabile.

«È vero che L’Aquila ha ancora un grande bisogno di aiuto, ma allo stesso tempo riesce a dare molto sia a chi la vive che a chi la visita» mi ha detto un amico di famiglia di Pistoia. Il centro storico affollato nelle calde giornate estive è il segno della vita che continua, anche passeggiando tra le case deserte della città. Tutti gli amici e i parenti che sono venuti a trovarmi ultimamente da fuori città mi hanno detto di aver percepito fin da subito questo forte contrasto tra la distruzione materiale e la vitalità e vivacità della gente. Le transenne che delimitano le strade e i palazzi inaccessibili del centro storico sono tappezzate di volantini e manifesti che pubblicizzano eventi, spettacoli, manifestazioni, concerti, incontri, sagre… è la vita che continua.

Venite a L’Aquila e fotografate la realtà di uno Stato che abbandona una figlia al suo destino, che rischia di perdere la seconda città italiana per numero di edifici vincolati dal ministero dei Beni Culturali dopo Roma. Le vostre fotografie devono essere il documento di un capitolo della storia dell’Italia contemporanea e non una testimonianza della vostra presenza nei luoghi della tragedia.

Alcuni giorni fa, una signora dall’accento romano mi ha fermato alla Villa Comunale e con un’espressione incredula, al limite della commozione, mi ha chiesto «come fate voi giovani a vivere qui?» Dopo qualche attimo di riflessione, dovuto più che altro all’imprevedibilità della domanda le ho risposto che «l’affezione alla propria città è qualcosa che non si trova dappertutto… È l’amore per L’Aquila che ti impedisce di abbandonarla».

«Una zona rossa, dovunque si trovi, è questione nazionale».

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