Bisogna guardarli negli occhi i bambini giunti qui, da noi, sui barconi. Barche che sono pericolose quanto una roulette russa. Dopo il naufragio seminato di morti, i volontari hanno dato loro da mangiare e da bere. Ora i bambini si muovono davanti al tavolo sul quale sono stati riversati abiti puliti ed asciutti. Le donne del gruppo di profughi frugano, come tra le bancarelle del mercato.
Alzano davanti agli occhi un paio di pantaloncini e giudicano se sono buoni per il figlio. Poi una maglietta, e anche qualcosa di più pesante, non si sa mai. Poi si sceglie per i ragazzi più grandi, quindi le donne frugano per trovare qualcosa che possa andar bene per loro. Si è salvata la pelle, si è riusciti a scampare alla tragedia, ora comincia una diversa vita, drammatica . Ma non è una vita da ricominciare dai margini che spaventa. A spaventare era quello che si è lasciato alle spalle, che li ha spinti a salire su un barcone dopo aver raccolto, miracolosamente, quanto occorreva per aver il passaggio degli scafisti.
Bisogna guardarli negli occhi questi bambini al fianco delle loro madri, mentre scelgono tra gli abiti raccolti dai volontari. Vestiario scartato da noi, che diventa per loro l’inizio di una percorso in salita. Bisogna guardarli perché, volenti o nolenti, saranno gli occhi dei nuovi italiani, degli europei degli anni a venire. C’è chi non vuole guardare e vedere, e c’è chi guarda negli occhi ed anche lontano. Come Papa Francesco, che i musulmani (quelli che arrivano e quelli che si agitano sull’altra sponda per costruire un difficile futuro) li saluta come “fratelli”.
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