Sequestrare beni alla mafia, tenerli in caldo per poi trovare un modo surrettizio per restituirli. È il primo pensiero che viene in mente quando si legge la vicenda della Tenuta di Suvignano, comune di Monteroni d’Arbia nel senese. D’altronde l’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata ribadisce che non può fare altro che mettere il bene all’asta perché così vuole la legge e, pur riconoscendo la validità sociale del progetto di recupero e riutilizzo della stessa elaborato dalla regione Toscana, dalla provincia di Siena, dal Comune di Monteroni d’Arbia, dall’Arci di Siena e dall’associazione Libera, la vendita andrà avanti e non esclude, l’Agenzia delle Entrate, che il bene possa tornare nelle mani della mafia anche se i controlli saranno accurati.
«È una decisione inattesa ed inopportuna, dice la presidente dell’Arci di Siena Serenella Pallecchi, vanifica il lavoro fin qui fatto di concerto con il Comune, la Provincia e la regione Toscana». «È privare di significato il sequestro stesso del bene mettendolo in vendita, ben diverso sarebbe mettere la tenuta a disposizione del territorio, a testimonianza della cultura della legalità e della solidarietà. Non ci consideriamo sconfitti e chiediamo l’appoggio di tutti in questa battaglia che non è solo locale ma ha valore simbolico nazionale».
La tenuta di Svignano fu sequestrata una prima volta, 1983, da Giovanni Falcone quando nelle sue indagini sospettò il proprietario, il costruttore siciliano Giovanni Piazza, di essere in stretto rapporto con l’organizzazione criminale. Il primo sequestro non andò a buon fine e la tenuta ritornò nelle mani di Piazza, ma, nel 1994, fu sottoposta a nuovo sequestro e il proprietario arrestato per associazione mafiosa mentre era nella tenuta stessa. Nel 2007 il sequestro divenne definitivo in seguito alla condanna di Piazza.
E ora il triste, è il caso di dirlo, epilogo se non si riuscirà a fermare la messa in vendita della tenuta.
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