Ennesimo caso di violenza contro le donne in India: una giovane fotoreporter è stata aggredita e stuprata a turno da cinque uomini a Mumbai, mentre in compagnia di un collega stava realizzando un servizio per una rivista straniera nel centrale quartiere di Mahalaxmi, un’ex area industriale trasformata di recente in lussuosa zona residenziale alla moda. Secondo la ricostruzione della polizia, la coppia stava immortalando i vecchi opifici quando stata avvicinata da un paio di individui, che hanno chiesto loro in malo modo se avessero la licenza per fotografare luoghi pubblici. Ben presto si sono aggiunti tre loro conoscenti: tutti insieme sono saltati addosso al fotografo, lo hanno picchiato e infine legato con una fune.
La ragazza, 22 anni, è stata poi trascinata in uno stabilimento tessile abbandonato, dove gli aggressori l’hanno violentata a lungo, per poi darsi alla fuga. La vittima, soccorsa, è stata ricoverata in ospedale: ora è in gravi condizioni per aver riportato lesioni interne multiple.
È riuscita comunque a far rintracciare almeno due dei presunti assalitori grazie al loro nome, che aveva sentito pronunciare mentre stavano abusando di lei. Insieme a loro sono stati fermati una decina di altri sospetti per essere interrogati.
La vicenda ha subito suscitato enorme scalpore presso l’opinione pubblica indiana per due ragioni. Ha allarmato il fatto stesso che sia avvenuta proprio a Mumbai: la capitale dello Stato occidentale del Maharashtra, principale piazza finanziaria del Paese, è infatti comunemente considerata la città più sicura a livello nazionale per il sesso femminile.
Inoltre, ha destato impressione la somiglianza con l’episodio più tristemente noto di stupro, quello avvenuto lo scorso 16 dicembre a New Delhi ai danni di una studentessa 23enne, Jyoti Singh Pandey, aggredita su un autobus insieme al fidanzato, sottoposta a violenza carnale e a sevizie per quaranta minuti e gettata infine dal veicolo: morì dopo tredici giorni di agonia a Singapore, dove nel frattempo era stata trasferita a spese del governo nel vano tentativo di salvarle la vita. I quattro aguzzini adulti e un minorenne sono ora sotto processo, e almeno i primi rischiano, in caso di condanna, la pena capitale. Il sesto, considerato il capo della banda, l’11 marzo fu trovato impiccato nella sua cella: ufficialmente si sarebbe trattato di suicidio, ma le circostanze in cui si sarebbe tolto la vita non sono mai state chiarite.