Qatar, il mondiale della schiavitù
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Qatar, il mondiale della schiavitù

La Fifa discute le terribili condizioni di lavoro degli immigrati nel Paese, impegnati a preparare il Qatar per la Coppa del Mondo. Morti bianche quasi quotidiane.

Qatar, il mondiale della schiavitù
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4 Ottobre 2013 - 09.20


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di Giorgia Grifoni

Giorni di fuoco per il Qatar. Dopo il reportage diffuso la settimana scorsa dal quotidiano britannico The Guardian sulla morte e lo sfruttamento dei lavoratori immigrati per la preparazione al Mondiale 2022, a Zurigo è in corso la riunione del comitato esecutivo della Fifa: all’ordine del giorno, il controllo delle condizioni di lavoro nei cantieri dell’emirato e l’eventuale spostamento della manifestazione sportiva in inverno.

Il regno degli al-Thani, minuscolo e totalmente privo delle infrastrutture necessarie per ospitare un torneo di 32 squadre che porterà milioni di tifosi, ha ottenuto nel 2010 l’assegnazione del mondiale 2022. E per essere pronto ad accogliere la manifestazione, sta letteralmente ricostruendo la penisola a tempi da record. Il The Guardian ha recentemente riportato i costi in vite umane dell’intera operazione: circa 44 morti tra i lavoratori nepalesi – secondo i dati dell’ambasciata di Khatmandu a Doha – tra il 4 giugno e l’8 agosto di quest’anno, la maggior parte dei quali per infarto o per incidente sul lavoro. Alcuni giorni dopo, l’ambasciata indiana a Doha ha fatto sapere che nel mese di agosto ci sono stati decessi quotidiani tra i suoi cittadini.

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Alla base ci sono le terribili condizioni di lavoro che, oltre al Qatar, hanno reso tristemente famoso l’intero Golfo Persico: 10 ore al giorno nei cantieri per meno di 200 dollari al mese, mancato pagamento dello stipendio e confisca del passaporto. E ancora costrizione a lavorare a ritmi serrati anche durante la terribile estate qatariota, con temperature che superano abbondantemente i 50 gradi, a volte senza aver accesso all’acqua potabile.

Come da copione, per i lavoratori immigrati non si profila alcun tipo di tutela. Non esiste sindacato che li protegga, né corte che li difenda. Loro, che costituiscono l’85 per cento della popolazione della penisola – i cittadini qatarioti sono solo 300mila, con il Pil pro capite più alto al mondo – e il 90 per cento della forza lavoro, vengono principalmente da India, Nepal e Sud-est asiatico. E Doha ha già annunciato di volerne assumere un altro milione nel prossimo decennio per completare le infrastrutture del mondiale 2022.

Ora le rivelazioni del The Guardian rischiano di screditare il Qatar agli occhi della Fifa e di mettere in pericolo il mondiale guadagnato da Doha. Già la discussione sulle alte temperature aveva fatto tuonare la Uefa, che aveva decretato l’impossibilità di giocare a calcio con una temperatura di 50 gradi. Il Comitato Esecutivo della Fifa avrebbe dovuto decidere ieri se spostare o meno la manifestazione in inverno, ma la discussione è stata spostata a oggi per lasciare spazio alla questione del lavoro.

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Il vice presidente del Comitato Esecutivo, il principe Ali bin al-Hussein di Giordania ha proposto che la Fifa intervenga per fissare gli standard lavorativi o, perlomeno, per controllare i lavori delle infrastrutture destinate al Mondiale. “E’ chiaro che non possiamo intervenire negli affari di un altro Paese – ha dichiarato al-Hussein, fratello del re di Giordania, ai microfoni della BBC – ma questa Coppa non deve essere innalzata sul sangue degli innocenti”.

Il Qatar, dal canto suo, ha nominato un team internazionale di avvocati per condurre un’inchiesta sulle morti e sulle violazioni diffuse dal The Guardian e ha annunciato di voler collaborare con Amnesty International e Human Rights Watch, che a novembre dovrebbe pubblicare un rapporto sulle condizioni dei lavoratori immigrati in Qatar. Ieri, davanti ai cancelli della Fifa, circa 100 sindacalisti della Unia hanno manifestato contro la moderna schiavitù dei lavoratori di Doha e chiesto alla Fifa di prendere provvedimenti.
Intanto, in Qatar, il clima è infuocato: l’opinione pubblica è furiosa con i giornali stranieri, rei di voler sabotare il Mondiale 2022 con la pubblicazione di un reportage una settimana prima della riunione della Fifa. E il più grande network del mondo arabo, la qatariota al-Jazeera, tace.

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