Perché la morte del boia Priebke non poteva passare sotto silenzio?
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Perché la morte del boia Priebke non poteva passare sotto silenzio?

La morte del boia nazista all’età di 100 non poteva passare sotto silenzio e inosservata per quello che ha rappresentato e incarnato. [Marco Sini]

Perché la morte del boia Priebke non poteva passare sotto silenzio?
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16 Ottobre 2013 - 10.38


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di Marco Sini

La morte di Erich Priebke all’età di 100 non poteva passare sotto silenzio e inosservata per quello che ha rappresentato e incarnato e perché è avvenuta alla vigilia del 70° anniversario del rastrellamento dei 1021 ebrei romani. Certo i suoi funerali avrebbero avuto bisogno di silenzio e di discrezione, come suggerisce oggi su “La Stampa” Massimo Grammellini, e non già l’annuncio in rete da parte del suo avvocato con tanto di luogo e ora che non poteva non suscitare l’indignata reazione del sindaco e della popolazione di Albano Laziale, medaglia d’oro della Resistenza.

Priebke, capitano dell’esercito tedesco di occupazione a Roma, è stato corresponsabile, agli ordini di Kappler, dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Non ha mai mostrato alcun segno di pentimento, ha sempre rivendicato con orgoglio militare l’azione compiuta, perciò mai nessuna richiesta di perdono ai familiari delle 355 vittime, tra le quali anche nove sardi.
“Sui 355 morti alle Fosse Ardeatine, settantacinque erano italiani di Roma di religione ebraica e gli altri erano italiani di diverse regioni “rastrellati” nel carcere di Regina Coeli, negli schedari della Questura di Roma tra gli antifascisti e gli oppositori al regime mussuliniano. Tra questi erano presenti nove sardi alla cui memoria ed alle cui biografie dovremmo riservare momenti di ricordo e di indagine per trasmettere i loro nomi e le loro vicende umane alle nuove generazioni.

I sardi fucilati da Priebke e dai suoi soldati furono : Candido Manca di Dolianova, Brigadiere dei Reali Carabinieri, apparteneva al Fronte militare del CNL. A lui è intitolata la Legione dei Carabinieri di Sardegna di Cagliari. Candido Manca insieme a Cocco Pasquale, studente nato a Sedilo, fu Antonio Ignazio, figuravano nell’elenco dei 154 a “disposizione dell’Aussen-Komando sotto inchiesta di polizia”, come recitano gli archivi. Medas Giuseppe, fu Ferdinando e Toma Francesca, di Narbolia, avvocato e Canalis Salvatore, fu Raimondo e Sanna Giovanna Maria, di Tula, professore di lettere, entrambi appartenenti al Partito d’Azione ed impegnati nella Resistenza romana, figuravano in un elenco di 10 persone agli arresti per motivi politici. Sisinnio Mocci, di Villacidro, appartenente al Pci. Agostino Napoleone, cagliaritano, Sottotenente di vascello; Ignazio Piras , nato a Illorai, contadino, arrestato come “presunto appartenente alla Banda Maroncelli”, collegata al Movimento comunista d’Italia, sotto il nome di battaglia di Antonio”, figurava in un elenco di 10 persone a disposizione della Questura per motivi politici e di Pubblica sicurezza; Gerardo Sergi di Portoscuso, Sottotenente dei Carabinieri Reali. C’era anche Gavino Luna di Padria (nella foto), conosciuto come De Lunas e considerato tra i più talentuosi cantadores a chitarra isolani: nato nel 1895, aveva raggiunto la notorietà negli anni Trenta e registrato diversi dischi per la casa discografica milanese “Società Anonima del Grammofono”.

La Resistenza e la lotta di Liberazione in Sardegna non è passata come nelle regioni del centro nord, salvo in almeno tre episodi, che devono essere definiti come primi episodi della Resistenza, e che sono stati immediatamente successivi all’otto settembre. Questi tre episodi sono: la battaglia della Maddalena, con il sacrificio del capitano di vascello Carlo Avegno; l’affondamento della corazzata Roma, al comando dell’ammiraglio Bergamini, al largo dell’Asinara e a un conflitto a fuoco nei pressi di Macomer dove ha perso la vita il colonnello Alberto Becchi Lucerna. È pur vero però che circa 7.000 sardi tra soldati in armi, reduci, carabinieri e civili hanno preso parte in forme diverse alla Resistenza e alla guerra partigiana in continente. Tanti altri sardi, come i nove martiri delle Fosse Ardeatine, sono morti nei campi di concentramento, di prigionia e di sterminio tedeschi. A tutti loro, ai martiri delle Fosse Ardeatine e a tutti i morti nella lotta partigiana e di liberazione dal nazi-fascismo, deve andare il nostro pensiero di gratitudine. L’Anpi è impegnata a preservare questa memoria, ad aiutare la ricerca storica e delle persone, a trasmettere i nomi e le biografie di chi ha sacrificato la vita e di chi dal 1945 ad oggi, essendo stato protagonisti, hanno dato testimonianza di queste vicende ai giovani di oggi e a quelli di domani.

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