Ultimora. Lo sgombero paventato in questo bel pezzo, è in corso. La diretta dello sgombero su popoff.globalist.it
di Mariangela Priarolo
da [url”www.lavoroculturale.org”]www.lavoroculturale.org[/url]
Fabbrica storica, la cui fondazione risale al 1924, il Colorificio Toscano era stato acquisito alla fine degli anni Novanta da una società, la JColors, parte di un gruppo guidato dalla famiglia Junghanns. La vicenda di questa acquisizione, raccontata analiticamente nel libro Rebelpainting, pubblicato a cura degli attivisti del Progetto Rebeldía di Pisa pochi giorni prima dell’ingresso nella fabbrica, non è purtroppo diversa da quella di molte altre realtà produttive italiane. Dopo aver acquisito i brevetti del Colorificio, la JColors infatti delocalizza la produzione in Cina, licenzia gli ultimi operai rimasti e, nel 2008, chiude gli stabilimenti.
Da allora i 14 mila metri quadri di via Montelungo vengono lasciati deserti, in uno stato di abbandono irreale. Quando, un anno fa, il Municipio dei beni comuni entra in quegli spazi, gli uffici hanno ancora le carte sopra i tavoli e i calendari alle pareti, gli hangar conservano le tute e i sacchi di polvere per preparare le vernici, i faldoni con i documenti che raccontano le storie degli operai sono sparsi ovunque nelle stanze e nei corridoi. Il tempo pare essersi fermato, congelando un istante di vita della fabbrica. Di vita-non vita, in realtà, poiché gli operai, i lavoratori, non ci sono più, da troppo tempo.
Un anno fa, il destino dell’ex Colorificio sembrava dover ricalcare quello delle tante aree produttive dismesse nel nostro paese. Degrado, piccioni, ratti e nostalgia per un’Italia industriale che non esiste più. Ma al destino il Municipio dei beni comuni non crede. Ed è così che, il 13 ottobre dell’anno scorso viene indetta una grande e coloratissima manifestazione a cui prendono parte, tra le tante persone sopraggiunte da ogni dove, anche gli ex operai del Colorificio. Lo scopo è dichiarato pubblicamente: liberare uno spazio abbandonato. Quel giorno l’obiettivo non verrà raggiunto: uno spiegamento di forze dell’ordine venute a Pisa da tutta la Toscana impedisce anche solo di immaginare un avvicinamento alla fabbrica. All’assurdità di un esercito intervenuto a difendere degli interessi privati, i manifestanti rispondono sventolando Rebelpainting, il libro che, raccontando la storia del Colorificio, fa capire bene quanto anche qui, a Pisa, a due passi dalla Torre, l’articolo 42 della nostra Costituzione, nel quale si richiama la “funzione sociale” che deve svolgere la proprietà privata, continui a essere impunemente violato. Alla pseudo-legalità sbandierata anche dall’amministrazione comunale, che preferisce stare dalla parte di chi tiene uno spazio vuoto perché ne è comunque il proprietario, il Municipio oppone la fonte del diritto e i valori di giustizia, politica e sociale, che quella fonte esprime e che alla proprietà pone dei limiti molto netti.
Ed è così che, una settimana dopo, il 20 ottobre 2012, la vita rientra nel Colorificio. Una palestra di arrampicata, una ciclofficina, una biblioteca, un cinema, una webradio, uno sportello di consulenza per i migranti, un corso di italiano, laboratori di scultura, cucito, falegnameria, lavorazione del ferro, danza del ventre, teatro, poesia, Gruppi di Acquisto Solidale e tante altre attività cominciano a fiorire un giorno dopo l’altro. Per un anno il Colorificio diventa un punto di incontro e di scambio, un luogo in cui le contaminazioni tra le attività permettono di creare ogni giorno qualcosa di nuovo, un centro di discussione sui modi politici, giuridici ed economici da trovare per far sì che la risposta alla crisi economica e sociale in cui siamo sprofondati sia collettiva, solidale e civile. Al Colorificio si svolgono una seduta della neonata commissione per i beni comuni, una tre giorni dedicata alla riflessione sulla proprietà, i diritti, i saperi, un’altra al modo di difendere e declinare il concetto di bene comune.
Tutto ciò non è bastato. Il 20 settembre 2013, undici mesi dopo quell’ingresso, una sentenza del Tribunale di Pisa ribalta la decisione presa dal GIP qualche mese prima e decide che il Colorificio sia sequestrato e restituito a chi lo ha sfruttato e abbandonato, la famiglia Junghanns, che ora ha chiesto una variante urbanistica ad hoc per poter costruire villette in una città che ha cinquemila case sfitte. A nulla è valsa la petizione lanciata a febbraio dal vicepresidente della corte costituzionale Paolo Maddalena, e sottoscritta, tra gli altri, da Ugo Mattei, Maria Rosaria Marella, Luca Nivarra e Stefano Rodotà. A nulla sono valse le cinquemila firme raccolte in una città di 80 mila abitanti com’è Pisa. A nulla l’impegno dei tanti cittadini e delle tante cittadine che hanno contribuito a rendere viva e davvero produttiva un’area dismessa.
Lo sgombero avverrà a momenti e Junghanns, i topi e i piccioni potranno rientrare in possesso del loro regno.
Ma l’ex Colorificio liberato non è solo la storia che ha costruito quest’anno. L’ex Colorificio non è solo le mille attività che qui, in queste mura, si svolgono. L’ex Colorificio non è solo uno spazio fisico. L’ex Colorificio è, certo, tutto questo, ma è anche qualcos’altro. L’ex Colorificio è un sogno: il sogno di un mondo diverso, in cui le persone collaborino, condividano, interagiscano senza competere le une contro le altre in quella riedizione anni duemila del darwinismo sociale che è così tipica dei tempi in cui viviamo. Di fronte all’isolamento e all’alienazione che anche a Pisa, nella civile Toscana, sono i prodotti più devastanti del neoliberismo e della crisi che ha prodotto, e che inevitabilmente produce, l’ex Colorificio ha cercato di realizzare concretamente questo sogno, di renderlo vivo e fecondo, producendo e continuando a produrre l’unica ricchezza degna di questo nome perché appartiene a tutti e a tutte, una ricchezza che è tale perché include e non esclude l’altro.
Ed è per questo che il Colorificio non si arrende, nemmeno di fronte allo sgombero imminente, uno sgombero che metterà solo in pausa le attività che in questi spazi si svolgono, ma che non le arresterà né le può arrestare.
Perché i sogni non si arrestano e non si arrendono.
I sogni si realizzano e si difendono.