#25nov/ Contro la violenza sulle donne
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#25nov/ Contro la violenza sulle donne

Storia di una giornata importante. [Gianfranca Fois]

#25nov/  Contro la violenza sulle donne
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25 Novembre 2013 - 11.01


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di Gianfranca Fois

Proprio in questi giorni la giovanissima Malala Yousafzai ha ricevuto a Strasburgo il premio Sakharov dal Parlamento UE per aver sfidato i Talebani, e questo le è costato quasi la vita, rivendicando il diritto all’istruzione per le bambine in Pakistan, ma ormai il suo impegno riguarda bambine e bambini in tutto il mondo.

Sicuramente in Italia molti avranno scrollato le spalle e si saranno sentiti appartenenti a un mondo molto più civile ed evoluto rispetto all’Oriente.
Eppure, anche se non in termini così cruenti, ancora negli anni cinquanta e nei primi anni sessanta del Novecento non erano rari in Italia i casi di bambine alle quali i genitori, e soprattutto i padri, impedivano di proseguire gli studi dopo la scuola elementare o dopo la scuola media. Veniva poi operata una sorta di controllo e censura dei comportamenti e anche delle letture delle ragazze.
Ricordo ancora che quando avevo 15 anni chiesi a mia mamma di comprarmi dei libri di Calvino, andò alla libreria delle suore paoline e lì, tra i clienti, un ragazzo universitario le sconsigliò di comprare libri di Calvino ad una ragazza così giovane. Mamma tornò a casa con La figlia del capitano di Puskin e alcuni libri di Chesterton, ottimi, ma non quelli che volevo.

Racconto questo per cercare di spiegare alle più giovani quale fosse il clima chiuso e oppressivo in cui sono vissute molte donne, anche in quelle famiglie in cui le bambine potevano studiare, sia nei paesi sia nelle città.
Per concludere un ricordo, doloroso, quello di una mia compagna di scuola che si uccise a sedici anni perché aspettava un figlio senza essere sposata, uno scandalo per quei tempi. Purtroppo per tantissimi anni il suicidio è stata una delle pochissime armi che le donne hanno avuto per rifiutare quanto la società imponeva loro.

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Per questo motivo rimango sempre meravigliata quando sento una donna affermare con supponenza: Io non sono femminista, come se le parole femminismo e femminista fossero un insulto.
Molto probabilmente invece senza le lotte di tante donne e delle femministe molti diritti non sarebbero stati conquistati, basti pensare al clima degli anni settanta, contrassegnato da riflessioni, proposte, lotte delle donne che hanno portato a traguardi importantissimi: il divorzio, la depenalizzazione dell’aborto, la cancellazione del delitto d’onore dal codice penale, la fine dell’obbligo per le mogli di assumere il cognome del marito, la fine del matrimonio riparatore.
Era l’8 marzo del 1972 quando a Campo de’ Fiori a Roma per la prima volta le femministe scendono in piazza separatamente dagli uomini, Sono quasi ventimila, di tutte le età e condizione sociale ma unite dal desiderio di cambiare, di non essere più solo figlie, mogli e madri, ma di essere se stesse, libere e autonome e come tali vogliono contare in una società, come quella italiana, bigotta e maschilista.

Il 2 giugno del 1946 le donne italiane, in ritardo rispetto al resto del modo occidentale, avevano votato per la prima volta, e alle elezioni per l’assemblea Costituente su 365 eletti 21 sono donne. Appartengono a diversi schieramenti, hanno storie diverse ma lottano unite affinché vengano inserite norme che riconoscano alle donne italiane gli stessi diritti degli uomini. Un solo esempio, la maggior parte dei padri costituenti pensava che le donne non potessero accedere alla magistratura in quanto per “natura” non possedevano l’equilibrio necessario per poter giudicare ed emettere sentenze. “..nella donna prevale il sentimento sul raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio sul sentimento” sentenziava l’ on. Cappi; “ ..soprattutto per i motivi addotti dalla scuola di Charcot riguardanti il complesso anatomo-fisiologico la donna non può giudicare” rincalzava l’on. Codacci; precisava inoltre l’on. Molè che “non si intende affermare una inferiorità nella donna; però da studi specifici sulla funzione intellettuale in rapporto alle necessità fisiologiche dell’uomo e della donna risultano certe diversità, specialmente in determinati periodi della vita femminile”.
Le nostre madri costituenti riuscirono a far passare una modifica che di fatto apriva alle donne la possibilità di accedere alla magistratura. Ma solo con il decreto del 3 maggio 1963 si ebbe il primo concorso aperto a tutte/i.
A queste conquiste non si accompagna però una parallela svolta culturale, in tutto il paese continua ad avere il predominio una gretta e arcaica mentalità patriarcale che inchioda le donne prevalentemente nel campo della cura (che per anni é stata contrabbandata dagli uomini come “dono d’amore”) e della seduzione.
Perciò pochissimo viene fatto per venire incontro alle esigenze delle donne che cominciano ad essere numerose nel mondo del lavoro, il nostro welfare sulla famiglia è uno dei più deboli e antiquati d’Europa e il carico dell’attività domestica, degli anziani e dei disabili ricade ancora in gran parte sulle spalle delle donne, come ha fatto notare più volte l’Onu riprendendo per questo l’Italia.

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Contemporaneamente ormai da 30 anni assistiamo allo sfruttamento e abuso del corpo femminile in termini ossessivi attraverso la pubblicità, le TV private e ora anche attraverso la Rai. Viene proposto a tutti, donne e uomini, un unico modello femminile, basato esclusivamente sull’aspetto fisico che costituisce anche l’unica chance per poter avere successo, determinando così un rapporto servile con l’uomo e
un ritorno a quegli stereotipi di genere che erano sembrati superati.
Manca la rappresentazione di modelli diversi e la costruzione di un immaginario alternativo che consenta alle donne, ma non solo, di poter prefigurare un modo di dare a se stesse un senso e un ruolo nel mondo in modo autonomo e non inserito in logiche maschili.

La seduzione così vissuta, ci ricorda la studiosa Lea Melandri, serve a “rivelare sia la sua appartenenza all’immaginario dell’uomo, sia l’effetto di “messa in ombra” che produce rispetto alle donne reali”. Pur essendo cioè sempre più presenti nella vita pubblica, le donne restano marginali e insignificanti nella politica e in tutti quei luoghi in cui si prendono le decisioni più importanti, pur rappresentando il 52 per cento della popolazione italiana.

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