Risale a pochi mesi fa il colloquio tra il boss mafioso Totò Riina e quello della Sacra Corona Unita Alberto Lo Russo, precisamente al novembre scorso. Oggi le loro parole sono nero su bianco, intercettate dagli inquirenti e depositate nel processo Stato-Mafia (che vede proprio Riina tra gli imputati), fanno capire ancora di più che le minacce al pm antimafia Antonino Di Matteo non erano le parole in libertà di un padrino ormai imprigionato.
“E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più”. Sono le parole del boss di Corleone rivolte all’altro boss detenuto durante l’ora della cosiddetta ‘socialità’ nel carcere milanese di Opera. Riina, parlando gesticola e mima il gesto di fare in fretta, come si legge nelle descrizioni degli inquirenti che accompagnano la registrazione. “Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… – dice il Capo dei Capi – Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari. Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono. Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo”. E per dimostrare di non aver paura, aggiunge: “vedi, vedi – dice – si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce…”.
Il boss siciliano si ferma anche a ricordare l’attentato al vicequestore Germanà, avvenuto il 14 settembre del 1992, pochi mesi dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio e fallito grazie alla prontezza dello stesso Germanà, buttatosi in mare mentre gli sparavano addosso. “C’erano i soldati poverini a fila indiana a quel tempo… Era pomeriggio, tutti i giorni andare e venire, da Mazara. A chi hanno fatto spaventare? A nessuno, che poi quello si è buttato a mare”, ricorda Riina. Infine, un duro commento sul superlatitante Matteo Messina Denaro: “questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa luce, fa pali per prendere soldi, per prendere soldi”.
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