Il coraggio di inseguire un sogno a Lampedusa
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Il coraggio di inseguire un sogno a Lampedusa

La storia di tre ragazzi veronesi che hanno lasciato un posto fisso per trasferirsi sull'isola dove, oggi, gestiscono il bar più a Sud d'Europa.

Il coraggio di inseguire un sogno a Lampedusa
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12 Febbraio 2014 - 19.11


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di Cristiana Matano

Emigranti al Sud. Emigranti per passione del mare, di un’isola che incanta e che dà pace. È la storia di Giorgio, Michela e Silvia, tre veronesi doc, che tre anni fa hanno deciso di lasciare il Veneto e trasferirsi a Lampedusa. Hanno avuto il coraggio di inseguire un sogno e dimostrare che cambiare si può. Gestiscono, con affabilità e professionalità il bar più a Sud d’Europa, lo Sbarcatoio. “Non siamo andati sull’isola per aprire un bar, ma abbiamo aperto un bar per vivere sull’isola”: Giorgio Cacciatori, 45 anni, racconta il cambio di rotta. Deejay per 26 anni tra Verona e il Lago di Garda, adesso trapiantato in quel lembo di Mediterraneo che sa di Africa. È stato un amore immediato, come spesso accade a chi arriva per la prima volta. Giorgio è arrivato da turista nel 2009, c’è tornato l’anno successivo, ma ha trovato chiuso quel locale, caratteristico, tappa abituale per l’aperitivo: lo Sbarcatoio, appunto. La scelta è stata immediata. Assieme alla sua ragazza, Silvia e all’amica Michela hanno deciso che Lampedusa era il posto da dove ricominciare. Mollare tutto e andare sull’isola. Il sogno di tanti che loro hanno trasformato in realtà.

Silvia era responsabile vendite di un marchio di abbigliamento, Michela contabile per un’azienda di software. Si licenziano, lasciano tutto e vanno. Alla tranquillità del “posto fisso” hanno scelto il benessere, la qualità della vita. Lavorano adesso da marzo a novembre, il loro bar è frequentato da gente del posto, ma anche da tanti turisti affascinati dalla particolarità di essere nel punto estremo della cartina, ma anche dai sorrisi e dall’allegria dei tre ragazzi che servono aperitivi e stuzzichini invitanti.

Lo Sbarcatoio è un punto d’incontro, dove si fa amicizia, tra un tavolo e l’altro, dove il sole al mattino filtra tra le fessure del patio, dove scorgi il colore del mare.

I ritmi a Lampedusa sono diversi, i privilegi di una vita senza semafori e traffico, di spostarsi in motorino, a piedi, di non accendere mai i riscaldamenti, di poter lasciare la porta di casa aperta. Hanno valutato tutto questo i tre giovani veronesi, che alla frenetica vita di una bella città del Nord, hanno scelto quello scoglio del Mediterraneo, dove certo i problemi non mancano, ma dove il tempo trascorre lentamente. Sull’isola non c’è un vero ospedale, i trasporti sono una spina nel fianco, mancano strutture scolastiche e sportive adeguate, la benzina ha un costo esorbitante, ma tutto questo non toglie a Giorgio, Silvia e Michela la certezza di aver fatto la scelta giusta. “I lampedusani sono molto ospitali e io rispetto la loro identità – dice Giorgio – non ci trattano più da forestieri. Sembra di stare in una grande famiglia e io ho imparato ad aprire casa mia. A Lampedusa la vita è meno nevrotica e sospettosa”.

Lo Sbarcatoio rimane chiuso da fine novembre a metà febbraio, quando Giorgio, Silvia e Michela ne approfittano per riposarsi e visitare i parenti a Verona. Giurano di star bene e di non aver sofferto mancanze. L’unico in crisi di astinenza è Giorgio: “Mi manca soltanto andare allo stadio e fare il tifo per l’Hellas Verona, la mia squadra del cuore”. Ma il gagliardetto è sempre con lui. Alle spalle del suo bancone, dove scorrono su uno schermo le immagini più belle e colorate di quell’isola che ha rubato il cuore di tre ragazzi del Nord.

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