Il telecomando che azionò la bomba di via D’Amelio era nascosto nel citofono di casa della madre di Paolo Borsellino. E fu proprio il giudice, suonando il campanello, a innescare l’ordigno che uccise lui e cinque agenti della scorta e che era nascosto in una Fiat 126 parcheggiata a pochi metri. È quanto confida Totò Riina al suo compagno di ora d’aria, Alberto Lorusso. La conversazione tra i due boss è stata intercettata dalla Dia.
Neppure i racconti dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina sono stati utili a capire chi innescò l’ordigno. Ora Riina dice la sua verità e i magistrati di Caltanissetta sono già al lavoro per verificare se le dichiarazioni dell’ergastolano siano credibili.
Non è la prima volta che emerge l’ipotesi dell’innesco nascosto nel citofono. Le parole del boss dei Corleonesi, pronunciate a novembre con tono compiaciuto potrebbero rafforzare questa tesi e chiarire eventualmente quanto accadde in quel maledetto 19 luglio del 1992, 57 giorni dopo la strage che uccise Giovanni Falcone.