Storie dei Centri di Infamia Estrema in un libro
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Storie dei Centri di Infamia Estrema in un libro

La giornalista francese Flore Murard Yovanovitch nel libro Derive narra le radici culturali e psicologiche della disumanità delle politiche contro rom e migranti.

Storie dei Centri di Infamia Estrema in un libro
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31 Marzo 2014 - 20.16


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di Raffaella Cosentino

Un vaccino culturale contro la malattia dilagante del neorazzismo e della xenofobia, una cura necessaria per la società democratica che passa dalla denuncia puntuale dei tanti casi di disumanità con vittime rom e migranti. È il messaggio di fondo che si può cogliere nel libro di Flore Murard Yovanovitch, giornalista parigina di base in Italia, dal titolo “Derive. Piccolo Mosaico del disumano”, edito da Nuovi Equilibri Stampa Alternativa, con l’introduzione di Piero Coppo e la post-fazione di Fulvio Vassallo-Paleologo. Il volume esce in libreria domani. Cinque anni di cronache freelance di Flore Murard che vanno dai casi di violenze individuali come la storia dell’indiano Navtej Singh Sidhu bruciato vivo a Nettuno (e sopravvissuto) da alcuni giovani del posto, solo perché dormiva su una panchina, alle vicende delle psicosi di massa sfociate nei pogrom di campi rom, al razzismo istituzionale e democratico dei Cie, alle violazioni delle leggi internazionali con i respingimenti in mare. Cinque anni bui. L’obiettivo dichiarato del libro è di “rendere visibile l’oscurità”.

In fondo, sembra suggerire Murard, ciò che tutte queste vicende hanno in comune è la “pulsione di annullamento” dell’essere umano, che finisce per colpire tutti: carcerati e carcerieri, vittime e carnefici. 

“Si tratta di un livello di violenza più profondo dove dalla negazione dell’altro si passa al suo annullamento – spiega Murard – Questa pulsione, infatti, fa dell’altro, del diverso da sé, un “non essere umano”, cancellando in tal modo (annullamento appunto) il fatto che la sua umanità sia irrimediabilmente uguale alla nostra”. Secondo l’autrice che cita e riprende alcune teorie psicologiche, “in questo concetto si nasconde la mente malata all’origine dei comportamenti disumani”.

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La galleria degli orrori raccolti dall’autrice dal 2009 al 2013 focalizza l’attenzione sull’Italia ma lancia uno sguardo anche all’avanzata delle destre xenofobe in Europa, in paesi come l’Ungheria o la Grecia di Alba Dorata.

Ma principalmente è l’Italia a essere messa sotto la lente d’ingrandimento nel libro di Flore Murard. Il re è nudo. Il paese della brava gente scopre di fondarsi su un falso mito. E la disumanità avanza soprattutto se si guarda al fenomeno dell’accoglienza dei profughi di guerra. Nell’estate del 2013, fa notare giustamente l’autrice, la guerra siriana sbarca sulle coste siciliane, improvvisamente vera e viva nei racconti di intere famiglie costrette alla fuga dopo avere visto e subito inenarrabili atrocità. Ma coloro che si credevano in salvo in Europa non lo sono affatto. Toccata terra in un paese “democratico” si ritrovano solo all’inizio di una nuova odissea fatta di attese interminabili in luoghi alienanti come i centri di accoglienza, molti dei quali improvvisati e dati in appalto a soggetti discutibili senza trasparenza. E’ lì che le persone, private dei documenti, dei diritti e della dignità a causa di una legge che non funziona e di un’accoglienza vergognosa, si ritrovano a parole ‘ospiti’ e libere, ma in realtà come detenute, private della libertà di muoversi e di decidere del proprio destino.

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Ma ‘Derive’ non è solo una sequela di fatti e la denuncia di politiche sbagliate. Il tentativo è quello di andare oltre e spiegare le radici culturali e psicologiche che fanno deragliare un intero paese dai binari della democrazia e dei diritti umani. L’accoglienza dei migranti è spesso in mano a realtà cattoliche e sulla retorica dei deboli da assistere Murard punta il dito e l’attenzione. Secondo l’autrice c’è una “confusione culturale” attorno al tema delle migrazioni in Italia che non porta ad affrontare la questione inquadrandola nell’ambito dei diritti di cittadinanza, ma la fa retrocedere alla “dimensione della carità cristiana”.

Ma la “non-esistenza” o “dis-esistenza” alla quale costringiamo gente che è fuggita dalle guerre per un’ingiustizia della storia, mentre noi viviamo al sicuro nelle nostre esistenze precarie, porta a implodere la nostra stessa umanità.

Il racconto della nostra storia recente è impietoso. Ci ricorda come solo nel 2009 respingevamo i profughi nel Mediterraneo, ricacciandoli verso un destino di torture e morte, e premiavamo con il consenso politico gli slogan populisti di destra che urlavano “fermiamo l’invasione” quando i respinti erano meno di mille. Il tutto condito dall’immaginario dello scontro di civiltà e dalla fabbrica della paura oliata dai media.

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Grande spazio ha anche il racconto dei Cie, dei muri, delle telecamere di sorveglianza e del filo spinato, della detenzione dei migranti che in Italia è arrivata all’inverosimile: costruire gabbie gialle semimobili per fare radere i “trattenuti” di Lamezia Terme. Il volume si chiude con due interviste illuminanti sul tema delle deportazioni forzate. Una a Fernand Melgar, regista del documentario vincitore a Locarno “Vol Special” girato in un centro di detenzione amministrativa svizzero e una allo scrittore Erri De Luca.

Il “cuore della contraddizione” del centro di internamento svizzero di Frambois, secondo Melgar è “il tentativo di applicare in modo più umano una legge disumana: di migliorare un luogo disumanizzato”. Un sistema che gli ricorda “la banalità del male di Hannah Arendt” in cui ogni funzionario è deresponsabilizzato, esegue ordini, mette timbri, ma non ci si può sottrarre alla responsabilità collettiva.

Erri De Luca li chiama “Centri di Infamia Estrema” , dannosi per la salute pubblica e spiega il perché: “tollerare sul nostro suolo campi di concentramento è degradare la nostra vita civile. Quei Cie sono un marchio d’infamia per tutti noi”.

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