Le ragazze schiave: chiedono di non morire in strada
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Le ragazze schiave: chiedono di non morire in strada

I volontari del coordinamento antitratta Favour e Loveth si attivano per dare confronto a donne costrette a prostituirsi a Palermo.

Le ragazze schiave: chiedono di non morire in strada
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8 Dicembre 2014 - 18.18


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Riuscire a dare conforto con bibite calde, qualche merendina, con lo scambio di alcune parole e con la preghiera, cercando di non farle sentire troppo sole, in balia di tutti i rischi e i pericoli che comporta stare per la strada. In questo modo, i volontari dell’unità di strada del coordinamento antitratta Favour e Loveth cercano di attivarsi due sere alla settimana nei confronti delle parecchie ragazze nigeriane e romene che sono costrette a vendere il loro corpo per la strada, cercando, anche per quelle che lo desiderano, di pregare insieme a loro. I volontari si danno appuntamento alle 22 a piazza Santa Chiara, dietro il mercato storico di Ballarò per poi congedarsi a mezzanotte e mezza. Escono tutti con una stessa macchina e, normalmente, sono 5 che variano periodicamente in relazione alla disponibilità che hanno. Sono tutti appartenenti alle realtà che fanno parte del coordinamento antitratta di Palermo. Redattore sociale ha deciso di andare per una sera con loro nel giro dedicato alle donne africane. Partiamo con Fra’ Loris francescano dei frati minori, la suora combonina Valeria Gandini, Serena una volontaria tirocinante del Ciss e Giovanna una volontaria del centro salesiano di Santa Chiara.

La prima tappa è proprio di fronte alla Palazzina Cinese, all’interno del parco della Favorita. Davanti al fuoco, a salutare e riconoscere subito i volontari con un grande sorriso, baci e abbracci è Vanessa che dice di avere 25 anni anche se sembra molto più piccola. Si mostra molto contenta di ricevere il the e, mentre lo sorseggia, sembra desiderosa di scambiare qualche parola anche se appare, nello stesso tempo guardinga, forse nei confronti di qualcuno che potrebbe venire da un momento all’altro per controllarla. Chiede di pregare in inglese, nella sua maniera, battendo le mani e cantando con una grande energia. Più avanti, proprio dentro il parco, nel buio più completo, incontriamo altre tre sue amiche giovanissime (Jessica, Lisa e Francesca) che provano a riscaldarsi davanti a due fuochi. Con i volontari ridono e scherzano, e ringraziano per i cioccolattini e la bibita, allontanando per un momento quello che sono costrette a fare. Anche loro chiedono di pregare, cantando e ballando e Francesca, la più giovane, si mette a pronunciare, alcune parole, in inglese con uno stato d’animo di raccoglimento che sembra, però, misto a rabbia. Francesca, rispetto alle altre, trema dal freddo perché è vestita molto leggera e così, prima di salutarla, i volontari le regalano una giacca a vento che lei mette subito. Nel frattempo arrivano le macchine, si presume di potenziali clienti, che, infastiditi da noi tornano indietro, ma, in lontananza, li vediamo con il loro mezzo fermi che aspettano che andiamo via.

Ci spostiamo in via Crispi, quasi di fronte al porto, incontrando altre quattro giovani africane. Diversamente dalle prime, l’impressione è che si vendano per la strada da più tempo, perché appaiono molto truccate, seminude e più disinvolte. Una di loro appare troppo euforica e poco lucida come se fosse sotto l’effetto di droga. Pregano anche loro, ringraziano i volontari ma appaiono più distratte e sbrigative delle altre. Subito dopo nella sua postazione solitaria, quasi di fronte alla caserma della guardia di Finanza della zona portuale, c’è la giovane Jennifer che ci accoglie con garbo sorridente ma molto pensierosa. Prega anche lei ma con meno energia delle altre come se la sua mente fosse occupata da altro. La salutiamo e speriamo tanto bene per lei. Sempre al buio, in una strada vicina al porto, ci fermiamo con altre due giovanissime che, nonostante dicano anche loro di avere 20 anni, sembrano addirittura minorenni. Hanno il viso proprio quasi da bambine e ridono tanto, dando l’impressione di essere quasi inconsapevoli di quello che sono costrette a fare. La serata si conclude oltre la mezzanotte salutando anche alcune romene che l’unità di strada incontrerà un altro giorno. Le tre giovani, diversamente dalle africane, sono più grandi e sembrano più ‘libere’. Con alcune di loro l’unità di strada sta cercato anche di portare avanti alcune iniziative al di fuori della strada.
“Percepiamo che le ragazze si sentono profondamente accolte – dice suor Valeria Gandini con 25 anni di esperienza sul campo del antitratta -. Quello che si fa per loro non è mai abbastanza. Nella preghiera, sprigionano una grande energia, tipica della loro giovane età, e chiedono di essere protette dai pericoli e di non morire per la strada. Il potere scambiare qualche parola, ristorarsi e soprattutto pregare è una parentesi molto importante rispetto a quello che sono costrette a fare per tutta la notte. E’ anche un modo che ci permette di conoscerle gradualmente e che ha permesso in passato, anche se con grande fatica, per alcune di loro di uscire da questo giro”. “Certamente il lavoro di sensibilizzazione da fare è ancora molto a tutti i livelli. Alcune di loro hanno proprio il volto di bambine, proviamo per loro una grande tenerezza. Quando ci vedono, non appena ci riconoscono, escono al naturale come se fosse un breve momento di liberazione, facendo trasparire tutta la parte giocosa tipica della loro età”. “Ancora verso tutte queste vittime della tratta manca un progetto serio e concreto – continua suor Valeria – che operi a più livelli per aiutarle realmente ad uscire da questa forma di grave schiavitù. Non basta solo la denuncia ma poi occorre attivare una rete di presa in carico e di accompagnamento che protegga pienamente queste nostre ragazze pensando anche al loro futuro e al modo in cui si reinseriranno nella società. Occorre anche portare avanti una lotta seria contro la rete dei trafficanti coinvolgendo tutte le realtà preposte a fare le indagini ed a portarle avanti a buon fine”. (Serena Termini).

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