Ci sono almeno 500 persone, provenienti da tutta Italia, alla palazzina occupata che fu sede dell’Anpi, in via Mascagni, a Milano. Questo è il quartier generale dell’assemblea No Expo, dopo che il rettore dell’università Statale di Milano Gianluca Vago ha deciso di chiudere l’ateneo temendo scontri e occupazioni a fine assemblea. “Violenti e facinorosi”, sono stati definiti gli attivisti contro Expo dal rettore sulla stampa milanese. L’evento del 17 gennaio, diviso in workshop sull'”organizzazione delle lotte” contro Expo e le altri grandi
opere e un’assemblea plenaria, si è svolto senza scontri né tensioni.
Il gruppo milanese Comitato No Expo nasce nel 2007, quando Milano stava preparando il dossier per candidarsi a città dell’Expo nel 2015. Dal sito si legge che ne fanno parte “comitati, associazioni, centri sociali, attivisti del sindacalismo di base, militanti della sinistra radicale”. Si appoggia sullo zoccolo duro dei centri sociali: Leoncavallo, Cantiere e Fornace, soprattutto. Poi ci sono i collettivi come Offtopic, che prima che le inchieste giudiziarie portassero all’arresto di sette dirigenti legati alla Expo spa, già aveva denunciato nel libro Expopolis casi di corruzil pericolo d’infiltrazione mafiosa e l’eccessiva cementificazione cittadina legata al megaevento. Insieme a loro, c’è la rete di San Precario, il sindacato alternativo, senza vertici né segretari, che ogni anno organizza il primo maggio la May Day.
San Precario è tra i canali più attivi nella campagna contro il volontariato nella sei mesi di esposizione “Io non lavoro gratis per Expo”. Dalla palazzina dell’Anpi si vedono sventolare anche le bandiere della campagna Stop sfratti. Ne fanno parte Asia, il sindacato degli inquilini legato al centro sociale Cantiere, e Unione inquilini, oltre ai comitati di quartiere, particolarmente attivi nella zona di San Siro e Selinunte. Tra gli attivisti No Expo ci sono anche i collettivi universitari come ad esempio Cut e Unisì.
“L’ultimo evento, non potevamo dircelo, ma era stato un flop. Poco partecipato, poco vissuto dalla stessa città. Questo invece è stato un grande successo”, dice uno dei leader storici del movimento No Expo. L’ultima volta che il movimento aveva cercato di comunicare i motivi della sua protesta era il maggio scorso. Sarà la prossimità a maggio 2015 o la comunicazione dell’Expo che ha superato i confini milanesi, fatto sta che sono tanti gli attivisti che arrivano da fuori Milano.
Oltre ai No Tav di Torino e del Friuli, con i quali la rete No Expo ha una collaborazione ormai storica, a Milano c’è “La foglia di Fico”, il gruppo di antagonisti al nuovo Eataly dell’imprenditore Oscar Farintetti che si chiamerà, appunto, Fico – Fabbrica italiana contadina. Le accuse sono le stesse rivolte ad Expo: la nuova opera porterà speculazione edilizia e corruzione e il ritorno in termini di occupazioni saranno minime. Sempre da Bologna, arriva il collettivo di scrittori Wu Ming, che sul loro sito Giap! Hanno dato spesso voce alle campagne No Expo.
In occasione della plenaria di Milano, Wu Ming ha organizzato anche un reading su Expo. Tra i lombardi, una delle realtà più attiva è il centro sociale Pacì Paciana, che ha tenuto il workshop “No Expo in ogni città”. Obiettivo dell’incontro è condividere una mappa (a cui gli organizzatori stanno ancora mettendo mano) dove individuare “le logiche predatorie dei grandi eventi in Italia”, per organizzare in modo più capillare le proteste lungo tutto il Paese. Altre realtà intervenute sono il centro sociale La Strada di Roma, sempre dalla capitale Dinamo, un sito d’informazione alternativa, poi Napoli project, i Centri sociali delle Marche e la coalizione Centri sociali del Nord Est