Libia, l'allarme della Difesa: non pescate a sud di Lampedusa
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Libia, l'allarme della Difesa: non pescate a sud di Lampedusa

L'allarme è alto in tutto il Mediterraneo, in particolar modo nella zona di mare a sud di Lampedusa.

Libia, l'allarme della Difesa: non pescate a sud di Lampedusa
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18 Febbraio 2015 - 22.41


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C’è chi, in questi giorni, ha descritto Lampedusa come una nuova Kobane, ipotizzando l’isola come la nuova frontiera di fronte alle violenze dell’Isis. Nei bar del paese, per fortuna, c’è chi cerca di sdrammatizzare, giocando sulle sigle: «Se abbiamo timore dell’Isis?

Sì, ma ci fanno più paura Tasi e Tari…», dicono rivolti ai giornalisti che, intanto, fiutano venti di guerra. Tuttavia qualche segnale preoccupante c’è, mentre il centro dell’Imbriacola è collassato di nuovo, arrivato ieri ad oltre 800 migranti pressati dentro. Il presidente dell’associazione Armatori di Lampedusa, Piero Billeci, dichiara: «Da quando l’Isis è arrivato in Libia, da quando il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni ha lanciato l’allarme sull’avvicinamento dei terroristi e da quando il ministro della Difesa, Roberta Pinotti ha dichiarato di aver già pronti 5 mila militari non siamo più tranquilli in mare».

«Dopo l’incidente della motovedetta della Guardia Costiera», aggiunge il presidente degli armatori lampedusani, «siamo stati consigliati proprio da Roma, pur se in via ufficiosa, di non fare rotta verso sud e invitati a cambiare repentinamente zona di pesca. Adesso, quindi, ci siamo spostati a pescare ad ovest dell’isola, nella zona di Lampione e poi a nord, evitando accuratamente di andare a pescare nei quadranti di mare a sud di Lampedusa, pur se in questo periodo dell’anno sono i più pescosi e redditizi». I pescatori non vogliono rendere pubblico da chi è arrivato il consiglio, ma si intuisce con chiarezza che si è trattato di alti vertici (militari o politici) della Difesa.

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Il fatto è che, da qualche giorno, i pescatori lampedusani non fanno più rotta verso sud, in direzione delle coste libiche e si accontentano di gettare le loro reti a nord e a ovest. «A sud avremmo pescato a 100 miglia dalla Libia (circa 190 chilometri, ndr) », continua Billeci, «ma abbiamo timore di essere abbordati dai barchini e dai gommoni dei trafficanti a caccia di nuove imbarcazioni per sveltire i loro traffici o, forse, da quelli dell’Isis interessati anch’essi al redditizio traffico di esseri umani. In queste ore la situazione è molto confusa e la prudenza è d’obbligo. Per ora continuiamo a lavorare in mare, pensando alla pesca e fingendo con noi stessi di non sapere cosa potrebbe profilarsi all’orizzonte».

L’incidente accaduto nei giorni scorsi alla motovedetta della Guardia costiera, costretta a riconsegnare un natante agli scafisti che hanno pure sparato raffiche di kalashnikov per intimorire gli italiani, è ben presente nella mente dei pescatori. «Se si sono comportati in quel modo con loro, che sono armati», spiega Billeci, «è facile immaginare cosa potrebbero fare a dei pescatori inermi, intercettati in mezzo al mare. Se volessero prenderci le nostre barche non potremmo impedirlo e, a quel punto, le nostre vite sarebbero in pericolo». Si sa, infatti, che gli scafisti sono alla ricerca continua di nuovi natanti, poiché sono a corto di imbarcazioni dove caricare la loro “merce” ormai ammassata, in grandi numeri, sulla costa libica. Intanto vengono segnalati furti di barche egiziane, tunisine e algerine.

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«Durante l’operazione Mare nostrum», ricorda Billeci, «i barconi dei trafficanti venivano affondati, una volta messi in salvo i migranti. Il fondale marino davanti a noi è pieno di “carrette”; ce ne accorgiamo quando, pescando, danneggiamo contro di esse le nostre reti, perdendo spesso l’intera giornata di lavoro».

Fare il pescatore a Lampedusa non è stato mai facile: il gasolio per la pesca è il più caro d’Europa (0,74 centesimi al litro, mentre sulla costa siciliana costa 0,52 centesimi) e la nave che dovrebbe trasportare il pescato non sempre arriva a caricare, anche in condizioni di bel tempo come sta avvenendo proprio in questi giorni così “particolari”: «Speriamo che la nave arrivi con maggiore continuità», conclude Billeci, «per poter vendere sul continente il nostro pesce, che altrimenti si deprezza nelle celle frigorifere». I pescatori lampedusani, “per quieto vivere”, dividono da tempo le loro zone di pesca – in acque nazionali italiane – con i colleghi tunisini; le acque internazionali sono condivise con ciprioti ed egiziani.

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