Chiedere l’elemosina per rinnovare Whatsapp, o l’abbonamento a Spotify, oppure per ordinare le cialde della Nespresso. Nel 2015 si fa fatica ad arrivare a fine mese, ma per motivi diversi da quelli dei nostri nonni. Un progetto, ironico e pieno di humor, del fotografo romano Gianluca Maroli, prova a riflettere sui nuovi bisogni di molti di noi nonostante la crisi.
[url”L’Homme(less)”]http://www.gianlucamaroli.it/portfolio_page/lhommeless/[/url], questo il titolo, è un modo provocatorio e fuori dagli schemi per trattare il tema della povertà: foto apparentemente veritiere, ma con messaggi frivoli, bisogni non reali, essenziali. Eppure in molti potrebbero rispecchiarsi nei ritratti in bianco e nero di Gianluca Maroli, specializzato in reportage musicali ma con alle spalle progetti incentrati sul sociale. “Non mi posso certo definire uno che non arriva alla fine del mese – scrive il fotografo per presentare il progetto – O che non riesce a mettere il pranzo o la cena in tavola. Eppure alle volte mi lamento per delle banalità, per dei bisogni futili, e come me ogni giorno migliaia (se non milioni) di persone”.
Sono due i momenti dai quali nascono gli “scatti” di Maroli: l’incontro in piazza Duomo a Milano con alcuni homeless “veri”, di quelli con coperta, cartello e piattino per le offerte, ma anche con e-book reader. E successivamente l’incontro in metropolitana, ascoltando i discorsi di alcune ragazzine under 18, vestite firmate dalla testa ai piedi, che affermavano di “non avere una lira” per il sushino del venerdì sera. Un dilemma vero insomma. Da qui l’autore non ha avuto dubbi nel portare avanti il suo progetto fotografico. Riprodurre una serie di immagini che raccontassero questo lato buffo e grottesco della crisi, una crisi economica di cui tutti parlano che poi molti vivono in maniera molto blanda. Lo stesso, di cui l’autore ne fa parte, e di quella generazione che più ne sta pagando le conseguenze, e che ne pagherà altrettante in futuro.
Questo progetto “spariglia” le carte, mescola le pose tipiche dei mendicanti con richieste assurde e superficiali. Le foto sono fatte in modo da sembrare effettivamente veritiere ma i messaggi sono frivoli, i bisogni non reali, essenziali, o meglio lo sono per i soggetti i fotografati ma non nel senso assoluto del termine. Ne esce fuori una serie di foto un po’ grottesche, a volte anche divertenti, ma che fanno anche pensare, perché in ognuna di quelle foto ognuno ci vedrà un pezzetto di se stesso.