Centri occupati dai vecchi migranti. Ecco i motivi del caos accoglienza
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Centri occupati dai vecchi migranti. Ecco i motivi del caos accoglienza

Due terzi dei presenti nelle strutture attuali sono ospitati da oltre un anno a causa dei ritardi nell’esame delle domande di asilo.

Centri occupati dai vecchi migranti. Ecco i motivi del caos accoglienza
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6 Maggio 2015 - 11.20


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Dopo gli ultimi sbarchi di questi giorni, che hanno portato a oltre 30 mila il numero delle persone arrivate via mare nel nostro paese dall’inizio dell’anno, si torna a parlare di “emergenza accoglienza”, con i centri pieni e le prefetture in affanno per trovare i posti aggiuntivi richiesti da una circolare di ieri del ministero dell’Interno Alfano che ne “assegna” 80 per ogni provincia. Un problema da imputare non tanto al flusso straordinario di migranti (gli arrivi sono in linea con quelli registrati lo scorso anno) quanto piuttosto alla mancanza di una gestione strutturale e ai ritardi burocratici, che portano ad allungare i tempi di permanenza dei migranti nei centri. A sottolinearlo sono le associazioni che da sempre si occupano di immigrazione. In particolare, spiega Oliviero Forti della Caritas, molti centri sono pieni, perché all’interno ci sono persone arrivate già nel 2014: su circa 85 mila migranti presenti oggi nelle strutture, due terzi circa sono quelli arrivati lo scorso anno.

Oltre un anno nei centri in attesa dell’esito delle commissioni.
La maggior parte delle persone, oggi nei centri, è in attesa dell’esito della domanda di asilo o protezione internazionale. “Il primo modo per decomprimere il sistema, è andare a velocizzare i tempi delle commissioni territoriali – afferma Forti – Se decidono velocemente le persone possono uscire e quindi lasciare spazio alle persone che stanno arrivando ora”.
Sulla stessa scia anche Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci: “Il paradosso è che a causa dei ritardi della burocrazia e delle commissioni abbiamo un tasso di occupazione dei posti letto nei centri di accoglienza assolutamente sproporzionato. Per una persona che arriva nel nostro paese e vuole chiedere asilo il primo step è costituito dalla compilazione della domanda di protezione, il famoso modulo C3. Solo per fare questo si possono aspettare anche sei sette mesi,perché gli uffici spesso non sono attrezzati – sottolinea – Dopodiché, scatta il periodo di attesa: una volta compilato il modulo per l’appuntamento con la commissione passa più o meno un anno. In tutto questo tempo ovviamente il richiedente occupa un posto”. Oltre ai ritardi, c’è anche il nodo dei dinieghi in aumento, che crea un ulteriore allungamento dei tempi di permanenza nelle strutture. “Le commissioni lavorano male soprattutto dal punto di vista della qualità dei giudizi e generano molti contenziosi – aggiunge Miraglia -. Il personale non ha una formazione adeguata e spesso si valuta in maniera discrezionale. Succede così che i ricorsi vengano spesso vinti dal richiedente, ma nel frattempo si allunga il periodo in cui si occupa un posto, perché ovviamente durante il ricorso si ha comunque diritto all’accoglienza. Quindi persone che potrebbero uscire dall’accoglienza vi rimangono, generando poi la situazione che si sta verificando adesso”.

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La programmazione che non c’è.
Oltre al problema dei tempi di attesa, permane la mancanza di un piano strutturale per la gestione dell’accoglienza. “Il problema della primissima accoglienza è difficile da superare anche perché non è facile gestire un numero elevato di arrivi in tempi brevi, come è successo negli ultimi giorni. Ma bisogna arrivare a una gestione ordinata dell’accoglienza – aggiunge Forti -. Quello che chiediamo è che il sistema Sprar venga rafforzato, con maggiori risorse e posti a disposizione. E che in tempi brevi esca il bando per i minori non accompagnati”.
Secondo il responsabile della Caritas c’è bisogno anche di una maggiore corresponsabilità da parte delle regioni, per evitare che solo alcune si facciano carico dell’assistenza ai profughi. Miraglia, dell’Arci, sottolinea che “c’è bisogno anche di allargare il numero dei comuni aderenti ai progetti Sprar, oggi solo 500 su 8000. E’ assurdo che ci siano migliaia di comuni che non accolgono e poi centinaia di progetti di accoglienza straordinaria, i cosiddetti Cas, spesso gestiti da enti non competenti. Questo è un problema che va affrontato al più presto, perché il ricorso alla gestione emergenziale ha consentito a soggetti che facevano altro di mestiere di entrare nel campo dell’accoglienza e di dichiarare una competenza su questo. Addirittura ci sono ditte che prima si occupavano delle pulizie che oggi sono diventati enti gestori. Si parla molto del business dell’accoglienza, ma non si dice mai che il malaffare trova gioco facile proprio dentro la gestione emergenziale. Andrebbe, invece, rafforzata la gestione ordinaria, e soprattutto lo Sprar portando la sua capienza da 22mila posti a 60mila”.

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Numeri gestibili.
Secondo il responsabile immigrazione dell’Arci “il governo sta rispondendo all’emergenza perché non può fare altrimenti , ma la verità è che non si vuole registrare il fatto che questo paese ha bisogno di un sistema strutturato di accoglienza con molti più posti e risorse. Il paradosso è che in questo modo si sperperano molte più risorse pubbliche – conclude Miraglia -. I numeri sarebbe gestibilissimi con un piano strutturato, invece andiamo in emergenza, una situazione che non fa altro che generare rifiuto nelle comunità locali”. (ec)

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