La FNSI, il prete Dall’Oglio e il buco nero della storia
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La FNSI, il prete Dall’Oglio e il buco nero della storia

Un convegno che fa venire un'idea: forse tanto pessimismo sul giornalismo italiano è infondato.

La FNSI, il prete Dall’Oglio e il buco nero della storia
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27 Maggio 2015 - 16.39


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di Riccardo Cristiano

Tutto è nato da una telefonata del portavoce di Aticolo21, Giuseppe Giulietti: “mi risulta che ci sia un gesuita rapito da quasi due anni in Siria. E soprattutto mi risulta che sia un cittadino italiano. Certo, è solo uno dei 20mila sequestrati in Siria ma è nostro concittadino. Il suo e gli altri 19.999 casi non ci riguardano? Non per dare notizie che non abbiamo, ma per riflettere su un destino che ci coinvolge?”

Aiutare a contattare i relatori era l’aiuto richiesto, per gli impegni sindacali di Santo Della Volpe, che spesso si protraggono fino a tarda ora. Verificato, come è d’uopo che sia in queste circostanze, che nessuno temesse usi strumentali di affetti e dolori, riscontrare disponibilità è stato più facile di trovare acqua nel mare.

Ma ci voleva uno di lì, un cristiano orientale, un “arabo cristiano”. La fortuna di avere una umana consuetudine con il professor Antoine Courban, docente della Saint Joseph University, mi ha aiutato ad essere utile.”Ci sarò, ma nessuno si azzardi a chiedermi se ho bisogno di alberghi o biglietti. Roma è una città stupenda ma soprattutto gli onori e la possibilità di esprimere riconoscenza a padre Paolo sono doni, non sforzi.”

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Ex fissa, contratti, nuove tecnologie, stati di crisi: sono questi, ritengo, gli assilli prioritari del nostro sindacato, ed è giusto che sia così. Ma perché? Perché fanno parte dello sforzo più grande di tenere vivo un “comparto” che fa, con proprietà pubblica e privata, un servizio d’informazione sui fatti e gli accadimenti del mondo e nel mondo. E quanti servizi sono più importanti di chiedere lumi sul messaggio di un prete inghiottito da una rivoluzione travolta da eventi che hanno inghiottito nel buio un intero Paese e non solo quello? Per di più è un nostro connazionale, quel prete, privato della libertà per amore della libertà altrui.

La sala stracolma non lo è stata per radicamenti amicali dei promotori, ma per l’affetto che tanti nutrono per un uomo che ha dedicato la vita all’urgenza prioritaria dell’oggi di ciascuno di noi, costruire nel nostro Mediterraneo la società, la cultura del vivere insieme. Il vivere insieme è diverso dal convivere, visto che le diverse forme di convivenza oggi previste contemplano anche quella dei separati in casa. La società del vivere insieme è basata sul legame tra me e te.

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“Dall’Oglio, un profeta del nostro tempo”, ha esordito il cristiano orientale Antoine Courban, assicurandoci che la maggioranza dei sunniti non sono contrari a libertà e democrazia.

Vedere Ismaele, riconoscerlo, riconoscere la sete di Ismaele,è stato il commosso tributo dell’imam di Trieste al gesuita che ha scritto un libro sui musulmani e su “La sete di Ismaele”, figlio di Abramo, come Isacco.

Come sovente accade ai gesuiti padre Luciano Larivera ha stupito non pochi andando a scovare una pagina nei libri di Paolo in cui rammentava un suo incontro con padre Franz, ucciso a Homs dopo aver vissuto in città i due anni di assedio lealista, e padre Mourad, sequestrato in questi giorni nei pressi di Palmira. Una frase che sembra dire molto, troppo di più di quanto vi è scritto.

Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, ha ricordato le discussioni, le risate e le baccagliate con il suo amico quasi d’infanzia, appassionato amico dell’uomo, un’amicizia che oggi grida per le persistenti difficoltà ad attivare corridoi umanitari per chi fugge da guerre, pulizie etniche, carestie, massacri, torture, lager.

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Solo un improvviso malanno haimpedito al pubblico di ascoltare anche padre Giovanni La Manna, che oggi presiede l’Isituto Massimo ma per anni è stato in prima linea sul fronte dell’accoglienza.

Se Paolo Dall’Oglio si definiva siriano noi potremmo definire italo-siriano uno dei tanti giornalisti presenti, per ascoltare, Amedeo Ricucci. Un fatto che mi ha fatto ritenere che tanto pessimismo sul giornalismo italiano sia infondato.

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