The Pozzallo Way: per noi il soccorso e l’ospitalità ai migranti è un obbligo
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The Pozzallo Way: per noi il soccorso e l’ospitalità ai migranti è un obbligo

Nella sola città costiera ragusana sono arrivati 28mila stranieri nel 2014. Oggi la popolazione sente le ripercussioni sul turismo.

The Pozzallo Way: per noi il soccorso e l’ospitalità ai migranti è un obbligo
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18 Luglio 2015 - 17.37


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Quello è il nostromo Santino, mentre là c’è Salvo, capo macchina, lui invece è comandante di lungo corso”. E’ il tardo pomeriggio di sabato e gli uomini siedono sulla veranda della Società Marinaia di Mutuo Soccorso, parlando del tempo e del mare. “Sa una cosa? Qui siamo tutti marinai, o almeno quasi tutti… marinai e emigranti, ma quando partivamo noi era più facile”.

Affacciati sul corso Vittorio Veneto, la via dei pozzallesi, questi navigatori in pensione osservano i pochi turisti di passaggio, e ricordano di un tempo in cui “il mare era più libero, si andava e veniva dalla Libia e i figli si imbarcavano come i padri”. E in cui le spiagge erano piene. Oggi Pozzallo, “porta d’Europa”, come recita una targa sul lungomare, è nota alle cronache per l’arrivo di migliaia di migranti, tanto che i timori di fantomatiche “invasioni” hanno ridotto le prenotazioni turistiche per l’estate. “Del 60 per cento”, spiega preoccupata un’albergatrice del centro. Ma, raccontano molti pozzallesi, salvare vite umane è un dovere, tanto più per chi vive il mare e per chi ha conosciuto l’emigrazione. “E chi nel nord Italia parla di respingere – spiega il sindaco – dovrebbe venire qui ad assistere a uno sbarco”.

Francesco Perez, marinaio con un passato di assessore comunale all’ecologia, racconta orgoglioso la storia della Società Marinaia di Mutuo Soccorso. “E’ nata nel 1890 come sostegno reciproco fra i pescatori e la cosiddetta ‘bassa forza’, i marinai semplici e i mozzi, e continua le attività, anche se oggi siamo quasi tutti pensionati”. All’inizio dell’estate, come ogni anno, la palazzina della Società si popola di ‘miricani’, emigrati d’America che tornano per la festa di San Giovanni, protettore dei naviganti, portandosi appresso figli e nipoti. “L’emigrazione pozzallese è iniziata negli anni ‘20 e all’epoca per attraversare l’oceano ci volevano quaranta giorni”, spiega Perez, anche lui emigrante per alcuni anni, “erano viaggi duri ma pur sempre migliori di quelli di chi arriva oggi dal nord Africa, anche perché poi trovavamo lavoro e il sostegno di paesani già arrivati”. Nella sala d’ingresso della Società Marinaia spicca un cartello, “The Pozzallo Citizens way”, donato dal municipio di New York proprio per sottolineare l’apporto dei pozzallesi alla vita della Grande Mela.

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Lo stesso cartello svetta nell’ufficio del sindaco, poco lontano dalla Società. “Con 6mila persone – spiega Luigi Ammatuna, già presidente del mutuo soccorso marinaio – quella di Brooklin è la prima comunità di pozzallesi all’estero, seguita da Florida, California, Venezuela e Argentina”. A preoccupare Ammatuna, che come sindaco ha visitato più volte le comunità di emigranti, è però soprattutto l’immigrazione, o piuttosto le reazioni che innesca. Per far capire il problema, snocciola numeri: “dai 250 arrivi via mare del 2012, si è passati ai 4.500 del 2013 e ai 28 mila del 2014, cifra record, seconda solo a Augusta”.

I migranti però, a Pozzallo non si vedono. “Nell’estate del 2013 il centro di prima accoglienza ha ospitato per due mesi quasi 900 persone, che ogni mattina si riversavano in città, ma non c’è stato nessun problema, anzi c’erano continui gesti di solidarietà”. Dopo di allora, continua “chi viene fatto sbarcare al porto passa al centro di primo soccorso per pochi giorni o viene subito portato in altre strutture nazionali, tanto che i pozzallesi non se ne accorgono nemmeno degli sbarchi”. Il turismo, però, ne ha risentito. “Pensi – spiega sulla porta un dipendente del Comune – che riceviamo telefonate da persone del nord Italia che ci dicono di ributtarli in mare, o che hanno paura delle malattie… paure ingiustificate, che però sono più forti della bandiera blu assegnata al nostro mare da 13 anni a questa parte”.

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Per far fronte al calo dei visitatori, Ammatuna ha chiesto un contributo straordinario al governo, 20 milioni di euro “che sono già arrivati a Lampedusa, mentre noi non abbiamo ricevuto nulla, nonostante le promesse”. La crisi del turismo sta infatti piegando la fragile economia cittadina, che ha sempre vissuto di mare. “Dio ci ha dato un territorio immenso, da qui a 12 miglia il mare è tutto nostro”, ricorda con ironia Francesco Perez, sottolineando le dimensioni esigue del territorio comunale di Pozzallo, limitato ai confini dell’abitato. “Qui erano tutti per mare, allora chi stava a terra ha deciso al loro posto e ha favorito i comuni dell’entroterra”.

La vocazione marinara all’ospitalità e al soccorso è diventata insomma un obbligo, a cui Pozzallo, nonostante la crisi del turismo, continua a mantenere fede. Per Turiddu, vecchio ‘carrettiere’ dei prodotti della pesca, “chiddi sunu umani, figli di Dio come noi e poi noi siamo parte di una società mutualistica, aiutarsi è un valore”. Alla propaganda facile contro i migranti, Michele, un altro carrettiere, mutilato dal diabete e padre di due trentenni disoccupati, che mantiene con una pensione di 400 euro, “mischini loro”, oppone la semplice legge del mare: “tutti vanno salvati, e se uno scappa dalle guerre, dalla miseria, ché dobbiamo riportarlo indietro?”. (Giacomo Zandonini)

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