Rimpatriate le nigeriane chiuse nel Cie: un'operazione con molti dubbi
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Rimpatriate le nigeriane chiuse nel Cie: un'operazione con molti dubbi

Una ventina delle 69 immigrate arrivate a luglio e che avevano fatto domanda d’asilo sono state imbarcate oggi da Ponte Galeria in un volo Frontex.

Rimpatriate le nigeriane chiuse nel Cie: un'operazione con molti dubbi
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18 Settembre 2015 - 11.38


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Una corsa contro il tempo per evitare un rimpatrio che, secondo diverse associazioni, si voleva effettuare nell’ombra, senza la garanzia dei diritti fondamentali di richiedenti asilo e migranti vulnerabili. E, a fine giornata, l’impressione di aver scalfito silenzi e complicità che rimangono forti e diffusi a più livelli. Ma un bilancio che resta amaro. Sarebbero infatti fra 15 e 25 le donne nigeriane che, spiega la coordinatrice della campagna LasciateCIEntrare Gabriella Guido, “sono state deportate nel primo pomeriggio di oggi verso la Nigeria, in un’operazione dai contorni dubbi e molto probabilmente contraria ai dettami costituzionali”.

La telefonata. Le prime a dare l’allarme sono state proprio alcune delle donne, del cui “caso strano” Redattore Sociale si era già occupato a metà agosto. In 69 erano state rinchiuse nel Centro di identificazione e espulsione di Ponte Galeria a Roma pochi giorni dopo essere state salvate nel Mediterraneo, e avevano evitato il rimpatrio in extremis grazie all’intervento di alcune associazioni di tutela. “Ci hanno chiuse in uno stanzone – hanno detto questa mattina le donne alle operatrici della cooperativa Be Free – siamo in venti e non sappiamo cosa ci succederà, siamo spaventate”.

Il volo Frontex “dedicato”. Volontari e operatori sociali si sono attivati, scoprendo in breve che ad attendere le donne, tutte giovanissime, era un volo charter coordinato da Frontex. Una fra le molte operazioni gestite dall’agenzia europea, con obiettivo il rimpatrio coatto di migranti privi di titolo di soggiorno nell’UE. Voli “dedicati”, che sostano in più stati membri e città prima di atterrare in paesi come la Nigeria, con cui l’Unione ha accordi diretti di riammissione.

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Il silenzio delle istituzioni. Se il trattenimento era stato sospeso per quattro delle 69 donne, incinte in seguito agli stupri subiti durante il viaggio dalla Nigeria alla Libia, per le restanti 65 le sbarre e le camerate disadorne del Cie erano diventate l’unico scorcio possibile di un’Europa agognata. “Dall’arrivo delle donne, il 23 luglio”, racconta preoccupata Gabriella Guido, “abbiamo visitato due volte le donne nel Cie, incontrando persone che avevano perso tutto per la violenze di Boko Haram e altre che erano state comprate da trafficanti senza scrupoli, per essere vendute sul mercato europeo della prostituzione, segnate da torture, ustioni e ricatti psicologici”. Due visite alle quali è seguito un silenzio istituzionale duro da digerire. “La società civile si è attivata, con noi A Buon Diritto, la cooperativa Be Free, Lunaria e molti altri, eppure da più di tre settimane non siamo stati autorizzati a entrare nel Cie, e lo stesso per la stampa, segno che c’è qualcosa che si vuole nascondere”.

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Dinieghi e partenze affrettate. A ricostruire la vicenda legale delle donne è Francesca De Masi della cooperativa Be Free: “Hanno tutte presentato richiesta d’asilo, ma per 46 di loro l’esito è stato negativo, mentre 13 hanno ottenuto subito una forma di protezione e per le altre ci è stato chiesto un intervento speciale, tramite colloqui approfonditi, per evidenziare eventuali elementi legati alla tratta di persone, molto probabili nel caso di giovane donne nigeriane, i cui viaggi sono organizzati da gruppi criminali transnazionali”. A partire dal centro di Ponte Galeria stamattina sono state però anche donne che, in seguito al diniego dell’asilo, avevano presentato ricorso presso il tribunale “e che avrebbero quindi diritto a terminare l’iter giuridico”.

Effetto sospensivo. Jacopo Di Giovanni e i colleghi della Clinica Legale dell’Università di Roma 3, che hanno assistito 12 delle donne nella presentazione del ricorso, sono riusciti a ottenere solo nella mattina di oggi la sospensione del decreto di respingimento, che non è automatica per i richiedenti asilo chiusi nei Cie, per 9 di loro. “Abbiamo lavorato di corsa, mandando le notifiche di sospensione alla Questura man mano che arrivavano, e probabilmente siamo riusciti a far fermare il rimpatrio di alcune delle donne che erano già sul volo – spiega Di Giovanni – ma non sappiamo molto perché non ci è stata data la possibilità di parlare con loro in nessun momento di questa giornata concitata”.

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Diritti calpestati in nome dell’Europa? Il caso, che ha ancora diversi punti da chiarire, testimonia secondo LasciateCIEntrare di “un uso della detenzione dei migranti che preoccupa molto: se infatti per accontentare i partner europei che chiedono rimpatri veloci arriviamo a non rispettare i diritti fondamentali delle persone, come queste giovani donne, rischiamo nuovi richiami internazionali e ci macchiamo la coscienza in profondità”. LasciateCIEntrare, insieme a Be Free, A Buon Diritto, Medici per i Diritti Umani, Lunaria, Terre des Hommes, a singoli cittadini, avvocati e associazioni, ha segnalato il caso alla relatrice speciale delle Nazioni Unite sul traffico di persone, mentre proprio oggi una delegazione ONU visitava il Cie, in ottemperanza al protocollo della convenzione internazionale contro la tortura. Anche il parlamento italiano si era occupato della vicenda lo scorso 4 settembre, con un’interpellanza firmata da 90 deputati. (Giacomo Zandonini)

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