La Procura: Cucchi non morì di fame, fu pestato dai carabinieri
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La Procura: Cucchi non morì di fame, fu pestato dai carabinieri

Nella ricostruzione dell'accaduto e soprattutto sulle lesioni subite dal giovane nelle carte si scrive che a pestarlo furono i carabinieri D'Alessandro, Di Bernardo e Tedesco.

Il cadavere di Stefano Cucchi
Il cadavere di Stefano Cucchi
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11 Dicembre 2015 - 18.36


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La Procura della Repubblica, con un documento di 50 pagine, ha chiesto al gip di disporre lo svolgimento di un incidente probatorio per ricostruire tutti i fatti che hanno preceduto la morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre del 2009 all’ospedale Pertini, “dopo aver subito – come si afferma nel documento della procura – nella notte tra il 15 e 16 ottobre un violentissimo pestaggio da parte dei carabinieri appartenenti al comando stazione Appia”.

La richiesta di incidente probatorio avviene nell’ambito della seconda inchiesta che vede indagati per il pestaggio di Cucchi i carabinieri Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro e Francesco Tedesco indagati per lesioni aggravate e, per falsa testimonianza altri due carabinieri Vincenzo Nicolardi e Roberto Mandolini. Come si è detto nel documento di oltre 50 pagine il pubblico ministero Giovanni Musarò ricostruisce tutti i fatti che hanno preceduto la morte di Stefano Cucchi. Fatti che alla luce delle nuove indagini disposte dalla procura “correggono” molti dei fatti oggetto dell’indagine.

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Nella ricostruzione dell’accaduto e soprattutto sulle lesioni subite da Stefano Cucchi nelle carte si scrive che a pestarlo furono i carabinieri D’Alessandro, Di Bernardo e Tedesco. Il pestaggio avvenne in un arco temporale certamente successivo alla perquisizione domiciliare eseguita nell’abitazione dei genitori dello stesso Cucchi, un pestaggio che “fu originato da una condotta di resistenza posta in essere dall’arrestato al momento del fotosegnalamento presso i locali della compagnia Carabinieri Roma Casilina”. Qui subito dopo la perquisizione domiciliare si legge nel documento Cucchi era stato portato.

Secondo la ricostruzione fatta dal magistrato una volta nella caserma Casilina “fu scientificamente orchestrata una strategia finalizzata a ostacolare l’esatta ricostruzione dei fatti e l’identificazione dei responsabili per allontanare i sospetti dei carabinieri appartenenti al comando stazione Appia”. In particolare nella ricostruzione decisa dai carabinieri “non si diede atto della presenza dei carabinieri Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo nella fase dell’arresto di Stefano Cucchi. Il nominato dei due militari infatti non compariva nel verbale di arresto, pur essendo gli stessi pacificamente intervenuti già al momento dell’arresto e pur avendo partecipato a tutti gli atti successivi”.

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Nel documento della Procura si sottolinea poi che “fu cancellata inoltre ogni traccia di passaggio di Cucchi dalla Compagnia Casilina per gli accertamenti fotosegnaletici e dattiloscopici al punto che fu contraffatto con bianchetto il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento”. Poi si aggiunge che nel verbale di arresto non si diede atto del mancato fotosegnalamento e che Stefano Cucchi “non fu arrestato in flagranza per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale perpetrato nei locali della compagnia carabinieri di Roma Casilina, nè fu denunciato per tale delitto. Omissione che può ragionevolmente spiegarsi solo con il fine di non fornire agli inquirenti alcun elemento che potesse spostare l’attenzione investigativa sui militari del comando stazione carabinieri di Roma Appia”. Secondo il pubblico ministero fu taciuto agli altri carabinieri che avevano partecipato all’arresto di Cucchi.


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