Giulio Regeni, il ragazzo trovato morto al Cairo, era un ragazzo brillante. Aveva scritto più volte per il quotidiano Il Manifesto. Ma sotto pseudonimo. Aveva preferito non firmare gli articoli perché “aveva paura per la sua incolumità”. Lo ha detto ai microfoni i Radio Popolare Giuseppe Acconcia, collaboratore del giornale, che lo conosceva.
La testimonianza. “Giulio si occupava soprattutto di movimenti operai e di sindacalismo indipendente”, racconta Acconcia, dunque aveva contatti con l’opposizione egiziana. Alla redazione o confermano che Regeni aveva collaborato con il quotidiano e che anche in alcune email aveva espresso i suoi timori.
Secondo Acconcia, la testimonianza di una giornalista egiziana che avrebbe visto uno straniero arrestato alla fermata della metropolitana di Giza, al Cairo, è molto importante. Quello è un luogo dove nel 2013 – proprio nell’anniversario della rivoluzione – c’erano state manifestazioni degli islamisti contro il regime egiziano. “Può essere che Giulio fosse andato lì proprio per vedere se ci fossero ancora manifestazioni”, dice Acconcia.
Si occupava dei diritti dei lavoratori. Un amico di Giulio – che ha preferito restare anonimo – ha raccontato a un quotidiano egiziano che la ricerca che il giovane stava svolgendo sull’economia egiziana prevedeva anche interviste ad attivisti per i diritti dei lavoratori. Giulio gli aveva chiesto dei numeri di telefono di questi attivisti. L’amico lo aveva messo in guardia sui rischi e Regeni gli aveva promesso che non sarebbe uscito per fare interviste o ricerche sul campo fino al 25 gennaio, giorno dell’anniversario della rivoluzione. In quel giorno la polizia ha effettuato tantissimi arresti al Cairo, per prevenire manifestazioni.
Domani il manifesto pubblicherà un articolo sui movimenti operai egiziani che Giulio aveva inviato qualche giorno fa, e che il quotidiano non aveva avuto ancora il tempo di mettere in pagina.