Caso Cucchi, i periti: è morto di fame
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Caso Cucchi, i periti: è morto di fame

Ieri l'udienza in cui i superperiti del giudice hanno esposto le loro conclusioni. Ma nei prossimo giorni potrebbero esserci altre novità. [Cinzia Gubbini]

Caso Cucchi, i periti: è morto di fame
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8 Maggio 2016 - 16.05


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di Cinzia Gubbini

Fuori gli striscioni per chiedere “Verità e Giustizia per Stefano Cucchi”, dentro all’aula bunker di Rebibbia ieri un’udienza chiave per capire come andrà a finire il processo per la morte del giovane geometra romano, deceduto in un letto d’ospedale del reparto carcerario del Sandro Pertini nel 2009. Cucchi era stato arrestato per pochi grammi di droga con l’accusa di spaccio. Muore in sette giorni, senza che la famiglia abbia mai potuto entrare in contatto con lui: quando lo rivedono in obitorio stentano a riconoscerlo. Per capire cosa abbia ucciso Stefano, il giudice della Corte d’Assise ha disposto una “super perizia”: era stata la parte civile a chiederla, quella che rappresenta la famiglia, insoddisfatta dalle conclusioni a cui era giunto il perito dei pubblici ministeri Vincenzo Barba e Francesca Loy. La perizia è stata affidata ad alcuni specialisti milanesi. Dall’Università degli studi di Milano vengono Marco Grandi e Cristina Cattaneo della sezione di medicina legale, Gaetano Iapichino, del Dipartimento di fisiopatologia, Gaetano Marenzi del Dipartimento di Scienze cardiovascolari. Erik Sganzerla lavora all’Unità di Neurochirurgia dell’Università Milano Bicocca e Luigi Barana all’Unità operativa di urologia dell’Ospedale Bassini di Milano.

Ieri sono stati presentati i risultati del lavoro, che lasciano molti con l’amaro in bocca, tanto che tra il pubblico in parecchi commentavano “insomma, è morto di fame”. Eppure le conclusioni non sono assolutorie, pur mettendo il punto su tre cose: Stefano ha subito un “catastrofismo metabolico”. Le sue condizioni – dovute a vari fattori – in pochi giorni hanno subito un peggioramento impressionante, nonostante fosse ricoverato in un ospedale. I periti hanno puntato il dito contro l’incapacità sia diagnostica che terapeutica dei dottori che hanno avuto in cura Stefano. Si mette male, quindi, per i sette indagati tra medici e infermieri del Pertini che devono rispondere della pesantissima accusa di “abbandono di incapace”. Ieri, in una pausa, gli avvocati già cominciavano a porre la fatidica domanda “ma il Pertini ce l’ha un’assicurazione?”.

Il secondo punto è che a detta dei periti Stefano non aveva due vertebre rotte, ma solo una: la vertebra sacrale. La frattura sulla vertebra lombare, invece, (la famosa L3) è vecchia e calcificata.

Il terzo punto riguarda le lesioni. Sul corpo del ragazzo sono state rilevate molteplici lividi, ecchimosi, micro ferite. Quando la dottoressa Cattaneo proietta un disegno che riporta tutte le ferite sembra di guardare un San Sebastiano. Ma in realtà, secondo le analisi dei periti, la maggior parte di quelle ferite sono autoprodotte: effetto di grattamenti, ulcere pregresse causate forse dal consumo di droga, decubito.

Ce ne sono però tre, quelle sul viso, che sono invece recenti e anche quelle più “gravi” , cioè causate da un impatto violento: un impatto avvenuto con certezza nei giorni dell’arresto. Ma non è la scienza medica che può dire “che cosa”. Stefano è stato picchiato? Oppure è caduto dalle scale? La medicina alza le mani. Dal punto di vista processuale, dunque, si mette bene per i tre agenti penitenziari che devono rispondere di lesioni gravi, e che secondo la ricostruzione del pm avrebbero picchiato Cucchi nei sotterranei del tribunale dopo l’udienza per direttissima. Sentono odore di proscioglimento o tutt’al più di derubricazione del reato a semplici lesioni.

Eppure è tutto da vedere. Perché ovviamente la “superperizia” sarà terreno di battaglia. Sicuramente da parte dei medici, ma anche da parte civile che intende insistere sul ruolo avuto in tutta questa storia dal pestaggio in tribunale. Ma non solo, perché è probabile che verranno contestati anche i dati sulle fratture, visto che la perizia della famiglia dice cose diverse sia sulle cause della morte che sulle lesioni. E’ lecito, insomma, aspettarsi nuovi colpi di scena.

Ma ecco quali sono i punti “salienti” della perizia chiesta dal giudice, che se nel complesso risulta essere molto convincente ha però qualche “punto debole”, che non mancherà di essere sollevato in aula.

Cosa ha ucciso Stefano? In pratica Stefano Cucchi è morto di fame secondo i periti, si chiama sindrome da inanizione, che si sviluppa quando c’è una mancanza o grande carenza di alimenti e liquidi. In realtà Stefano qualcosa aveva mangiato, e giusto quella notte, verso l’una, aveva chiesto una cioccolata calda, che però non c’era. Bisogna ricordare che Stefano rifiutava il cibo anche per una forma di protesta: voleva vedere il suo avvocato, e nessuno si preoccupò di questa richiesta. Allo stesso tempo, però, come hanno sottolineato i medici quando la Commissione Sanità del Senato sintetizzò la loro colpa dicendo che “sarebbe bastato un cucchiaino di zucchero” per salvarlo, Stefano aveva ingerito qualche succo di frutta. Possibile morire per fame a 30 anni in sette giorni e mangiucchiando comunque qualcosa? E’ vero, come ha sottolineato Grandi che la presunta perdita di peso è impressionante: 10 chili. La psicologia può fare moltissimo, e lo stato di prostrazione di Stefano è fuori di dubbio. Eppure finora non sono emersi dati evidenti dai numerosi esami anatomopatologici che facciano pensare a una morte per fame: stomaco, cuore, fegato sono congestionati ma non atrofizzati come dovrebbero essere. Ma i periti assicurano, attraverso calcoli molto specifici, che stimando i liquidi ingeriti e quelli persi in quei cinque giorni, la sindrome da inanizione è probabile.

I segni della morte per fame nel cuore: Il professor Marenzi ha spiegato che segni evidenti di un inizio di “catabolismo proteico” (cioè di perdita di proteine, che poi ha determinato il distacco della membrana cerebrale e miocardica) c’erano già nell’elettrocardiogramma del 17 ottobre (Stefano morirà quattro giorni dopo). Il cuore batteva troppo lento, e i medici avrebbero dovuto capire che il ragazzo andava reidratato, perché il processo di “catastrofismo metabolico” era sicuramente ancora reversibile.

Morto per una crisi epilettica? Ma quale sarebbe stata la causa finale della morte di Stefano? Come sintetizza il professor Grandi: “Si è staccata prima la membrana cerebrale o quella miocardica?”. Difficile stabilirlo e “forse accademico”, ma vista la delicatezza del caso i periti cercano di dare risposte ovunque sia possibile, e spiegano di protendere per un distaccamento della membrana cerebrale, con conseguente crisi epilettica. Una cui traccia potrebbe essere quella morsicatura alla guancia destra che è stata rinvenuta durante l’autopsia.

Le lesioni alle vertebre Stefano lamentava un gran dolore alla schiena, e per questo gli era stato ordinato di stare a letto anche perché erano state riscontrate dalle radiografie fatte al Fatebene Fratelli ben due lesioni: una alla vertebra lombare (L3) e una alla vertebra sacrale. Secondo il professor Ganzerla, però, il radiologo dell’ospedale romano ha preso un grosso granchio: la vertebra lombare, infatti, non era affatto rotta. Al contrario, mostrava una “ferita rimarginata”, una calcificazione che in letteratura viene chiamata ernia di Schmorl. Quindi sei i radiologi vedevano una vertebra un po’ “abbassata” non era a causa di una rottura, ma dell’ernia. Di qui il gran lavoro di quest’estate del pm Barba, che era andato a sequestrare radiografie del 2003 che Stefano aveva fatto all’ospedale Grassi di Ostia, da cui risultava una frattura su L 3 (il pm convocò una conferenza stampa in cui rivelò la scoperta urbi et orbi). Al contrario c’è una frattura sulla quarta vertebra sacrale. La frattura, dice Ganzerla è “recente e composta. Nessun frammento invade il canale”. Particolare quest’ultimo non di poco conto: quando è morto Stefano aveva una vescica gonfissima, piena di liquido. Tra le ipotesi che erano state avanzate, la possibilità che la vescica non si svuotasse per problemi neurologici dovuti alla frattura sacrale. Secondo Ganzerla “la frattura non ha alcuna connessione con le cause che portarono Stefano Cucchi alla morte”. Di più: secondo il medico chi visitò Stefano sia al Fatebenfratelli che al Pertini sbagliò del tutto inquadramento diagnostico terapeutico. Gli fu infatti ordinato di stare disteso, mentre lui avrebbe potuto camminare. Sbagliata anche la prescrizione di farmaci antitrombotici. Rimane il dubbio: come mai allora Stefano aveva quel gran mal di schiena?

Gli esami dei “superperiti” avevano portato anche alla scoperta di una nuova frattura delle vertebre: quella alla vertebra lombare L5. Si tratta di una frattura “anche abbastanza grande”, ha detto in aula la professoressa Cattaneo. Gli esami specifici, però, hanno evidenziato che si tratta di una frattura dovuta alle manovre di levatura in fase post-mortem: in pratica la vertebra si è lesionata quando è stata staccata dalla colonna vertebrale di Stefano. Tutti questi particolari sono stati mostrati con grandi foto per rendere più chiara l’esposizione, si può immaginare lo stato d’animo dei genitori di Stefano, che a un certo punto hanno preferito uscire dall’aula. Per tornare alla frattura di L5 chi ha fatto il “danno” o non se n’è accorto o non ha pensato di riportarlo in alcun verbale, la perizia inoltre è lievemente meno precisa dell’esposizione di ieri in aula. Vi si legge infatti che la frattura potrebbe essere stata causata in fase “perimortale”, cioè quando il soggetto è ancora vivo ma – ad esempio – in uno stato di coma profondo. Ieri però Cattaneo è stata chiarissima: “Non ci sono fratture recenti e vitali, se non quella alla vertebra sacrale”. La vertebra L 5 si è rotta addirittura in sede di seconda autopsia.

Allo stesso modo è stata chiara nel dire che le lesioni di una certa entità recenti riscontrabili sul corpo del ragazzo sono quelle al capo. E sono due: a destra e a sinistra, più forte quella a sinistra. Oltre alla lesione al sacro. Cosa può essere accaduto? Sono frutto di due pugni e un calcio? O di una caduta accidentale rocambolesca con urto su un oggetto (per esempio un mobile) caduta all’indietro, e ulteriore urto della testa sul pavimento? O, ancora, si tratta di una tipologia “mista”, cioè qualcuno ha dato un pugno a Stefano che ha sbattuto su un muro e poi è caduto all’indietro? “Ritengo che non sarebbe corretto fare un’ipotesi – ha detto Cattaneo – posso solo dire che la frattura del sacro è più compatibile con una caduta, mentre le lesioni al capo con colpi inferti”.

In conclusione, la super perizia riavvolge il nastro indietro, e racconta un film per molti versi diverso da quello raccontato finora dalla parte civile. Salve su un punto, su cui da sempre sono tutti d’accordo: le condizioni di Stefano sono state del tutto sottovalutate. Cosa sconcertante visto la quantità di medici che ha incontrato in cinque giorni. Il caso di Stefano Cucchi, inoltre, è uno dei primi casi in epoca moderna di morte per fame. Anno 2009, Italia. Non è detto però che i dati non verranno di nuovo ribaltati. “Abbiamo grande rispetto per le conclusioni a cui sono giunti i periti e su molte cose concordiamo – dice Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi – ma certo ci sono anche gli elementi evidenziati dai nostri periti, e li porteremo in aula”. Le conclusioni potrebbero essere molto diverse.

Ma ha ragione il papà di Stefano, Giovanni, che dice: “Perizie, contro perizie. Se in Italia esistesse il reato di tortura il caso sarebbe già risolto”.

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