“Caro Papa Francesco, ti scrivo dalla mia stanza all’ultimo piano, vicino al cielo, per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scartano”. Sono le prime righe della lettera che Marco Pannella aveva inviato al papa il 22 aprile. Scritta a mano, con i saluti in maiuscolo: “TI VOGLIO BENE DAVVERO TUO MARCO”.
“Ho preso in mano la croce che portava mons. Romero, e non riesco a staccarmene”. Così ha scritto Marco Pannella in un post scriptum nella lettera inviata a Papa Francesco e resa nota da Famiglia Cristiana. La croce di Romero oggi la porta attorno al collo monsignor Vincenzo Paglia, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. E’ stato lui a spiegare a Pannella l’origine di quella croce. “Marco mi ha chiesto di indossarla, non voleva più staccarsene. E alla fine, quando prima di andare via me la sono ripresa, dentro di me ho sentito un po’ di rimorso per avergliela tolta”.
Il ruolo del monsignor Paglia. La lettera di Pannella, spiega il settimanale dei Paolini, è stata portata al papa da monsignor Paglia. Il 2 maggio, giorno del compleanno di Pannella, Francesco gli ha mandato in regalo il suo libro sulla Misericordia e una medaglia.
Mons. Paglia conosce e frequenta Pannella dai primi Anni Novanta. Nelle ultime settimane si sono visti più spesso. “A marzo ero alla Casa del Divin Maestro di Ariccia con il Papa e gli altri prelati della Curia durante gli esercizi spirituali di Quaresima”, ha raccontato Paglia a Famiglia Cristiana, “quando ho ricevuto una telefonata di Pannella. Voleva vedermi. Ho informato il papa e lui mi ha detto. “Vai di corsa”. Prendo la macchina e lo raggiungo. Lui stava a letto un po’ rattristato, ci siamo abbracciati e poi abbiamo cominciato una delle nostre lunghe chiacchierate”.
Pochi giorni fa l’ultima telefonata, ma Pannella, ormai sopraffatto dai dolori, non poteva più rispondere. “Mentre parlavo con Matteo Angioli sentivo in sottofondo i suoi lamenti”, dice Paglia, “il mio amico Marco aveva ormai finito di combattere la sua battaglia”.