C’è il figlio del giudice Paolo Borsellino, Manfredi, nella trincea delle indagini sui roghi che accerchiano Cefalù, dove guida il commissariato di polizia. «Stiamo seguendo la pista dolosa», dice mentre corre da un capo all’altro della cittadina, chiedendo anche l’intervento della scientifica. Già. Non c’è solo da maledire i 45 gradi e i settanta chilometri all’ora di scirocco, guardando le colonne di fumo in mezza Isola, i campi che ardono, le lacrime dei bambini assediati negli asili, i tweet dei vigili urbani di Palermo: «Restate in casa». Non c’è solo da prendersela con il cielo in Sicilia. C’è da capire chi, perché e come.
Che ci sia dietro la mano dell’uomo, infatti, sembrano esserci pochi dubbi. Primo, perché «la storia dell’autocombustione è una favoletta», per dirla con Giuseppe Antoci, il presidente dell’Ente Parco dei Nebrodi che un mese fa è scampato a un attentato di mafia di vecchio stampo, con tanto di proiettili contro la sua macchina blindata. Secondo, perché decine di incendi sono divampati simultaneamente e in luoghi distanti l’uno dall’altro. Terzo, perché il primo focolaio è scoppiato sulle colline di Cefalù nella notte tra mercoledì e giovedì, quando la temperatura non raggiungeva i 25 gradi e il vento taceva, ma le previsioni annunciavano l’impennata di temperatura e le raffiche record che avrebbero tenuto a terra anche i Canadair. Ultima ragione, è che appare davvero singolare la circostanza che l’inferno si sia scatenato all’indomani dell’assunzione stagionale dei 6500 forestali ai quali ogni anno la Regione affida la difesa dal fuoco. Entrati in servizio sì, ma non ancora attrezzati a sufficienza.
Così gli incendi che ancora fino a sera bruciavano Palermo con il suo Monte Pellegrino, i monti Nebrodi e le Madonie, sono un rebus tutto da sciogliere. «Non ho le prove ma sospetto che dietro i roghi ci siano mani criminali anche perché vengono colpite sempre le zone più pregevoli dell’hinterland palermitano», dice il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, messo sotto accusa per l’assenza di manutenzione dei terreni, il mancato avvio dell’impianto di telerilevamento, la carenza di mezzi di emergenza. Certo è che sono proprio i forestali i primi a finire nel mirino al primo focolaio: con gli incendi arrivano i loro stipendi. Ma questa volta, appena entrati in servizio, si fatica a non ritenerli fuori da alcun sospetto, a meno che non si voglia pensare alla vendetta di coloro che sono stati recentemente mandati a casa. Ne parla proprio Crocetta: «Ricordo che di recente la Regione ha licenziato decine di forestali con condanne per mafia o per avere appiccato incendi», dice.
Ma dietro c’è anche la grande ombra delle speculazioni guidate da Cosa Nostra. È vero infatti che in teoria i terreni bruciati dal fuoco dovrebbero finire in un registro speciale che li «congela» da vendite e concessioni edilizie, ma in realtà non succede così. L’attentato ad Antoci, il presidente di quella che è la più grande area protetta della Sicilia, è la dimostrazione dei giganteschi appetiti nei confronti dei terreni, usati abusivamente per il pascolo o oggetto del business dei contributi comunitari per riqualificazioni. Così c’è chi non teme di evocare i peggiori fantasmi, come Carmelo Miceli, il segretario provinciale del Pd di Palermo. «Non è da escludere che ci potremmo trovare di fronte a una precisa strategia della tensione da parte della nuova Cosa Nostra».