di Onofrio Dispenza
“Avò” è una delle più belle ninne nanne siciliane. Forse la più bella. E’ l’accorato canto di una mamma che addormenta la sua bimba. Ancora oggi viene cantata in alcuni paesi, e dalle note dolci vengono fuori i sentimenti più intimi di una mamma, l’amore tenero e totale per la propria creatura. “Avò” l’ho cercata e riascoltata, cantata da Rosa Balistreri. E Rosa anche in una ninna nanna ci mette quella sua voce che scava il petto come un coltellino affilato che voglia raggiungere il cuore. “Avò” arrossa gli occhi, senti che incide la pelle e va a fondo nelle carni. L’ho voluta riascoltare perché volevo qualcosa da dedicare ai tanti bambini che sono tornati a galla senza vita, a cataste, ancora prigionieri della stiva del barcone affondato nel Canale di Sicilia il 18 aprile del 2015. Le prime testimonianze, quelle dei vigili del fuoco e dei sanitari, degli inviati, parlano di montagne di ossa e di corpi forse ancora identificabili. Di piccole ossa, di piccoli corpi. Il barcone è stato ripescato da 370 metri di profondità. Un recupero complesso e costoso, ma che credo abbia segnato un momento di alta dignità de nostro governo. E chi su questo oneroso recupero ha avuto qualcosa da ridire non è degno di stare tra gli uomini e un domani di varcare una porta diversa da quella che introduce all’Inferno.
Ad Augusta, la barca è in un hangar, un grande sudario sulla montagna di corpi da ricomporre e magari in parte identificare. Un lavoro terribile affidato a dieci medici arrivati da università di tutta Italia. A guidare il lavoro un medico donna, Cristina Cattaneo, milanese. Ed è giusto che sia una donna, quei figli hanno bisogno di una madre. “Avò”, dunque, è per loro. Dice la ninna nanna:”Perché la mia bambina piange? Perché vuole una culla in mezzo agli aranci…E ora che si è addormentata, Madre Maria veglia tu su di lei…”